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Bundesgericht 
Tribunal fédéral 
Tribunale federale 
Tribunal federal 
 
 
 
 
2C_1105/2018  
 
 
Sentenza del 21 giugno 2021  
 
II Corte di diritto pubblico  
 
Composizione 
Giudici federali Seiler, Presidente, 
Aubry Girardin, Donzallaz, 
Cancelliera Ieronimo Perroud. 
 
Partecipanti al procedimento 
A.________, 
patrocinato dall'avv. Didier Lelais, 
ricorrente, 
 
contro 
 
Dipartimento delle istituzioni del Cantone Ticino, Sezione della popolazione, 6501 Bellinzona, 
Consiglio di Stato del Cantone Ticino, Residenza governativa, 6501 Bellinzona. 
 
Oggetto 
Revoca del permesso di domicilio UE/AELS, 
 
ricorso contro la sentenza emanata il 5 novembre 2018 dal Tribunale amministrativo del Cantone Ticino (52.2017.243). 
 
 
Fatti:  
 
A.  
Dopo avere beneficiato dal 1986 all'ottobre 1990 di permessi per stagionali, A.________ (1966), cittadino portoghese, si è visto rilasciare, alla fine del 1990, un permesso di dimora annuale a seguito del suo matrimonio con B.________ (1964), sua connazionale, titolare di un permesso di domicilio. Il 15 gennaio 1995 gli è stato concesso un permesso di domicilio trasformato, dopo l'entrata in vigore nel 2002 dell'Accordo tra la Confederazione svizzera e la Comunità europea, nonché i suoi Stati membri, sulla libera circolazione delle persone del 21 giugno 1999 (ALC; RS 0.142.112.681), in un permesso di domicilio UE/AELS. La coppia ha avuto due figli, C.________ (1983) e D.________ (2001), che hanno ulteriormente acquisito la nazionalità svizzera. 
 
B.  
Incarcerato alcune settimane all'inizio del 2015, A.________ è stato condannato, il 16 ottobre 2015, dalla Corte delle assise criminali alla pena detentiva di 21 mesi, sospesa condizionalmente con un periodo di prova di 4 anni e al risarcimento equivalente in favore dello Stato di fr. 2'000.--, siccome riconosciuto colpevole d'infrazione aggravata alla legge federale del 3 ottobre 1951 sugli stupefacenti e sulle sostanze psicotrope (LStp; RS 812.121) e di complicità in riciclaggio di denaro. 
 
C.  
Preso atto della condanna penale e dopo avergli dato la possibilità di esprimersi, il 18 marzo 2016 la Sezione della popolazione del Dipartimento delle istituzioni del Cantone Ticino ha revocato, per motivi di ordine pubblico, il permesso di domicilio UE/AELS di A.________ e gli ha fissato un termine per lasciare il territorio svizzero. 
Questa decisione è stata confermata su ricorso dapprima dal Consiglio di Stato, il 14 marzo 2017, e poi dal Tribunale cantonale amministrativo, con sentenza del 5 novembre 2018. 
 
D.  
Il 10 dicembre 2018 A.________ ha presentato dinanzi al Tribunale federale un ricorso in materia di diritto pubblico con cui chiede che venga annullata la sentenza cantonale e che il suo permesso di domicilio sia mantenuto. In via subordinata domanda che la causa sia rinviata alla Sezione della popolazione per nuova decisione. 
Chiamati ad esprimersi, la Sezione della popolazione, senza formulare osservazioni e rinviando ai preavvisi presentati in sede cantonale, postula la reiezione del gravame. Il Consiglio di Stato si è limitato a rimettersi al giudizio del Tribunale federale. Da parte sua il Tribunale cantonale amministrativo si è unicamente riconfermato nelle motivazioni e nelle conclusioni della propria sentenza, alla quale la Segreteria di Stato della migrazione SEM ha fatto rinvio, senza presentare determinazioni. 
 
E.  
Con decreto presidenziale del 12 dicembre 2018 è stato concesso l'effetto sospensivo al ricorso. 
 
 
Diritto:  
 
1.  
 
1.1. Il Tribunale federale esamina d'ufficio e con piena cognizione la propria competenza (art. 29 cpv. 1 LTF), rispettivamente l'ammissibilità dei gravami che gli vengono sottoposti (DTF 145 II 168 consid. 1 e richiamo).  
 
1.2. Presentata nei termini (art. 100 cpv. 1 LTF) dal destinatario della decisione querelata (art. 89 cpv. 1 LTF), l'impugnativa è ammissibile quale ricorso in materia di diritto pubblico ai sensi degli art. 82 segg. LTF. Essa infatti concerne la revoca di un permesso che esplicherebbe altrimenti ancora degli effetti giuridici (art. 83 lett. c n. 2 LTF; DTF 135 II 1 consid. 1.2.1; sentenza 2C_268/2021 del 27 aprile 2021 consid. 1.1). Aggiungasi poi che il ricorrente, cittadino portoghese, ha, di principio, un diritto ad un'autorizzazione di soggiorno in virtù dell'ALC (DTF 136 II 177 consid. 1.1; sentenza 2C_113/2020 del 21 aprile 2020 consid. 1.1), senza dimenticare che vista la sua lunga e finora lecita permanenza nel nostro Paese, dove peraltro risiedono i suoi familiari, egli può, senza che ciò appaia d'acchito insostenibile, richiamarsi anche all'art. 8 CEDU, il quale tutela il rispetto della vita privata e familiare (sentenza 2C_864/2018 del 18 febbraio 2019 consid. 1.2 e richiami). L'eccezione di cui all'art. 83 lett. c n. 2 LTF non trova quindi applicazione nei suoi confronti, fermo restando che la questione del suo effettivo diritto di soggiorno sarà trattata come aspetto di merito (sentenza 2C_958/2020 del 6 aprile 2021 consid. 1.2 e richiami).  
 
1.3. Di principio, il Tribunale federale applica il diritto federale d'ufficio (art. 106 cpv. 1 LTF). Esigenze più severe valgono tuttavia in relazione alla violazione di diritti fondamentali; il Tribunale federale tratta in effetti simili critiche unicamente se sono state motivate con precisione (art. 106 cpv. 2 LTF; DTF 139 I 229 consid. 2.2 e richiami).  
 
1.4. Per quanto riguarda i fatti, il Tribunale federale fonda il suo ragionamento sull'accertamento svolto dall'autorità inferiore (art. 105 cpv. 1 LTF). Può scostarsene se è stato eseguito in violazione del diritto ai sensi dell'art. 95 LTF o in modo manifestamente inesatto, ovvero arbitrario, profilo sotto il quale viene esaminato anche l'apprezzamento delle prove (DTF 142 II 355 consid. 6; 139 II 373 consid. 1.6). A meno che non ne dia motivo la decisione impugnata, il Tribunale federale non tiene inoltre conto di fatti o mezzi di prova nuovi, che non possono in ogni caso essere posteriori al giudizio impugnato (art. 99 cpv. 1 LTF; DTF 133 IV 343 consid. 2.1).  
 
2.  
Oggetto di disamina è la questione di sapere se la revoca, pronunciata in seguito alla condanna penale inflitta nel 2015, del permesso di domicilio UE/AELS di cui il ricorrente, che vive in maniera stabile in Svizzera dal 1990, è titolare dal 1995, è conforme alla normativa applicabile. 
 
2.1. Il 1° gennaio 2019 è entrata in vigore la revisione della legge federale del 16 dicembre 2005 sugli stranieri (vLStr; RS 142.20), rinominata legge federale sugli stranieri e la loro integrazione (LStrI; RU 2007 5437). Giusta l'art. 126 cpv. 1 LStrI, alle domande presentate prima dell'entrata in vigore della presente legge permane applicabile il diritto previgente. In caso di revoca di un permesso di domicilio, è determinante il momento in cui è stata avviata la procedura di revoca (sentenza 2C_85/2021 del 7 maggio 2021 consid. 4.1 e richiamo), nel caso specifico, come emerge dalla sentenza impugnata, il 22 gennaio 2016 (vedasi pag. 2 lett. B.b). La presente vertenza è pertanto retta dal diritto previgente.  
Occorre comunque precisare che l'ordinamento interno si applica ai cittadini comunitari solo se l'ALC non contiene disposizioni derogatorie o se la vLStr prevede disposizioni più favorevoli (art. 2 cpv. 2 vLStr; sentenza 2C_481/2020 del 7 luglio 2020 e richiami). 
 
2.2. Nella presente fattispecie, l'eccezione alla revoca di un permesso di domicilio prevista dall'art. 63 cpv. 3 vLStr non trova applicazione: in effetti un'espulsione ai sensi degli art. 66a segg. CP non entra (va) in considerazione nel caso del qui ricorrente (sentenza 2C_85/2021 già citata consid. 4.2 e rinvii).  
 
2.3. Ai sensi dell'art. 63 cpv. 2 vLStr, il permesso di domicilio di uno straniero che, come il qui ricorrente, soggiorna regolarmente e ininterrottamente da oltre 15 anni in Svizzera può essere revocato unicamente per i motivi di cui al capoverso 1 lettera b della stessa norma, ossia se egli ha violato gravemente o espone a pericolo l'ordine e la sicurezza pubblici in Svizzera o all'estero o costituisce una minaccia per la sicurezza interna o esterna della Svizzera, rispettivamente se, come previsto dall'art. 62 cpv. 1 lett. b vLStr è stato condannato a una pena detentiva di lunga durata.  
Una violazione qualificata dell'ordine e della sicurezza pubblici è segnatamente data quando gli atti compiuti dallo straniero ledono dei beni giuridici particolarmente importanti come l'integrità fisica, psichica o sessuale; gravemente lesive dell'ordine e della sicurezza pubblici ai sensi dell'art. 63 cpv. 1 lett. b vLStr possono però essere anche più violazioni di minore entità, prese nel loro insieme (DTF 137 II 297 consid. 3). Una pena privativa della libertà è invece considerata di lunga durata se è stata pronunciata per più di un anno, a prescindere dal fatto che la stessa sia stata sospesa in tutto o in parte rispettivamente che sia stata o meno espiata (sentenza 2C_94/2020 del 4 giugno 2020 consid. 3.2 e richiami). 
 
2.4. Dato che il permesso di domicilio non è disciplinato nell'ALC, i motivi sopramenzionati valgono anche per la revoca di un permesso di domicilio UE/AELS (vedasi art. 2 cpv. 2 vLStr in relazione con gli art. 5 e 23 cpv. 2 dell'ordinanza del 22 maggio 2002 sull'introduzione della libera circolazione delle persone [OLCP; RS 142.203]). In questo contesto, assume ciò nondimeno rilievo l'art. 5 Allegato I ALC (cfr. infra consid. 2.5), in virtù del quale i diritti conferiti dall'ALC possono essere limitati soltanto da misure giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità (sentenza 2C_988/2020 del 29 aprile 2021 consid. 4).  
 
2.5. Secondo la giurisprudenza, che si orienta alla direttiva CEE 64/221 del 25 febbraio 1964 ed alla prassi della Corte di giustizia dell'Unione europea ad essa relativa (art. 5 cpv. 2 Allegato I ALC), le deroghe alla libera circolazione garantita dall'ALC vanno interpretate in modo restrittivo. Al di là della turbativa insita in ogni violazione della legge, il ricorso di un'autorità nazionale alla nozione di ordine pubblico presuppone il sussistere di una minaccia attuale, effettiva e sufficientemente grave di un interesse fondamentale per la società. In applicazione dell'art. 5 allegato I ALC, una condanna penale va di conseguenza considerata come motivo per limitare i diritti conferiti dall'Accordo solo se dalle circostanze che l'hanno determinata emerga un comportamento personale costituente una minaccia attuale per l'ordine pubblico (sentenza 2C_988/2020 già citata consid. 4.1 e rinvii). A dipendenza delle circostanze, già la sola condotta tenuta in passato può comunque adempiere i requisiti di una simile messa in pericolo dell'ordine pubblico. Per valutare l'attualità della minaccia, non occorre prevedere quasi con certezza che lo straniero commetterà altre infrazioni in futuro; d'altro lato, per rinunciare a misure di ordine pubblico, non si deve esigere che il rischio di recidiva sia praticamente nullo. La misura dell'apprezzamento dipende dalla gravità della potenziale infrazione: tanto più questa appare importante, quanto minori sono le esigenze in merito al rischio di recidiva (sentenze 2C_988/2020 già citata consid. 4.1 e 2C_873/2020 del 4 febbraio 2021 consid. 4.3 e rispettivi riferimenti).  
 
3.  
 
3.1. Secondo l'accertamento dei fatti di cui alla sentenza impugnata, che vincola anche il Tribunale federale (art. 105 cpv. 1 LTF), il ricorrente è stato condannato il 16 ottobre 2015 a una pena detentiva di 21 mesi, quindi di lunga durata ai sensi della giurisprudenza suesposta. La revoca del suo permesso di domicilio è dunque conforme agli art. 62 e 63 vLStr, ciò che il ricorrente stesso non contesta nel proprio gravame. Egli ritiene però che il provvedimento querelato non sia compatibile né con l'art. 5 Allegato I ALC né con il principio della proporzionalità (art. 96 vLStr) né, infine, con l'art. 8 CEDU, norma alla quale il ricorrente si appella sia per quanto concerne la tutela della vita familiare sia nell'ottica della protezione della vita privata.  
 
3.2. Come appena illustrato, il ricorrente è stato condannato nell'ottobre 2015 ad una pena detentiva di 21 mesi, sospesa condizionalmente con un periodo di prova di 4 anni, e al risarcimento equivalente in favore dello Stato di fr. 2'000.--, poiché riconosciuto colpevole di infrazione aggravata alla LStup e di complicità in riciclaggio di denaro. Come emerge dalla sentenza impugnata egli ha, tra il mese di settembre 2013 e il mese di giugno 2014, trasportato in 6-7 occasioni 680 grammi di cocaina nonché procurato in altro modo ad un terzo per il tramite di un'altra persona un per lui imprecisato quantitativo di cocaina. Inoltre, tra i mesi di gennaio e giugno 2014, ha accompagnato in diverse occasioni un terzo presso un ufficio cambio, affinché potesse cambiare un imprecisato importo, allorché sapeva che era provento dell'illecita vendita di sostanza stupefacenti, aiutando così detta persona a commettere un crimine. Con riguardo alla seconda infrazione, la sua partecipazione è stata solo secondaria (vedasi sentenza impugnata consid. 3.2 pag. 7).  
Rammentato che in presenza di reati commessi nell'ambito degli stupefacenti il Tribunale federale si mostra particolarmente rigoroso, anche in casi in cui trova applicazione l'Accordo sulla libera circolazione delle persone (sentenza 2C_481/2020 del 7 luglio 2020 consid. 5.2.3 e riferimenti), è indubbio che le infrazioni per le quali il ricorrente è stato condannato sono gravi. La valutazione svolta al riguardo dal Tribunale cantonale amministrativo resta attuale, benché da questo giudizio siano trascorsi alcuni anni. Come sottolineato dai giudici cantonali, gli eventi che hanno portato alla condanna dell'interessato si sono protratti su più mesi e a più riprese, sia per quanto concerne il riciclaggio di denaro che il trasporto di droga, il cui quantitativo da lui trasportato era certamente atto a mettere in pericolo la salute di molte persone, cosa che non poteva ignorare (sentenza 2C_678/2019 del 21 novembre 2019 consid. 4.4.2). In aggiunta va poi osservato che la sua azione delittuosa è stata messa in atto nonostante egli, all'epoca dei fatti, beneficiava di una situazione personale stabile ed aveva un lavoro, senza dimenticare che la sua responsabilità penale non è mai stata messa in discussione. Infine, il fatto che non era un consumatore di stupefacenti dimostra che ha agito solo per scopo di lucro, come per altro comprovato del fatto che, in ambito penale, ha messo in avanti le difficoltà finanziarie alle quali era confrontato all'epoca. 
 
3.3. Dopo avere osservato che il quadro che emergeva dalla sentenza penale, benché questa fosse priva di motivazione scritta, dimostrava che l'insorgente, il quale non era consumatore e non aveva agito in uno stato di scemata imputabilità, non voleva o non era in grado di adattarsi all'ordinamento del nostro Paese, i giudici cantonali hanno poi esaminato se vi era un rischio di recidiva rispettivamente se l'interessato rappresentava una minaccia effettiva e sufficientemente grave per la società (art. 5 Allegato I ALC), concludendo per l'affermativa. Essi si sono fondati sul fatto che, nonostante avesse una situazione stabile dal profilo finanziario, professionale e familiare, il ricorrente era caduto nell'illecito per un periodo durato circa dieci mesi; che l'attività delittuosa non era il frutto di un evento singolo e isolato ma di più reati distinti tra loro, compiuti in momenti diversi e neppure lontani nel tempo; che le giustificazioni da questi fornite (legate essenzialmente alla sua asserita ingenuità e sprovvedutezza) dimostravano semmai che qualora si fosse ritrovato in un'analoga situazione sarebbe potuto ricadere nell'illecito. Hanno poi aggiunto che il fatto di avere beneficiato della condizionale non era favorevole al ricorrente, poiché ciò non impediva la revoca dell'autorizzazione di soggiorno. Allo stesso modo non andavano considerati né la circostanza che fino ad allora era incensurato né l'ammissione delle proprie colpe e la sua collaborazione con gli inquirenti perché detti aspetti erano già stati presi in considerazione nella commisurazione della pesante pena inflittagli. Infine, la circostanza che, dalla sua scarcerazione avvenuta nel marzo 2015, si fosse ben comportato, che avesse ripreso a lavorare cumulando più attività, che avesse collaborato con le autorità giudiziarie dopo la sua condanna, ciò che aveva permesso di arrestare il suo fornitore, non costituivano secondo i giudici ticinesi elementi determinanti, un comportamento ineccepibile essendo quello che ci si aspetta da ogni persona.  
 
3.4. Senza nulla togliere alla gravità dei fatti per i quali il ricorrente è stato condannato, va osservato che la valutazione effettuata dalla Corte cantonale per giungere alla conclusione che vi era un rischio di recidiva rispettivamente che l'interessato costituiva una minaccia effettiva e sufficientemente grave per l'ordine pubblico svizzero non convince del tutto. Se effettivamente la sentenza querelata va condivisa sul fatto che il beneficio della sospensione condizionale della pena e la collaborazione con gli inquirenti non costituiscono, per sé soli, degli elementi che assumono rilievo specifico (sentenza 2C_559/2015 del 31 gennaio 2017 consid. 5.2.1 e richiami) così come non lo è nemmeno il comportamento ineccepibile avuto una volta uscito di prigione (sentenza 2C_113/2020 già citata consid. 5.3), la stessa interpella invece laddove afferma in maniera perentoria che il rischio di recidiva rispettivamente che la minaccia effettiva e sufficientemente grave per l'ordine pubblico svizzero possono essere dedotti dal quadro emergente dalla sentenza penale. Ora, come già accennato, detto giudizio è privo di qualsiasi motivazione (cfr. sentenza penale del 16 ottobre 2015 pag. 18, con rinvio all'art. 82 CPP, agli atti), ragione per cui non si capisce come la Corte cantonale ha potuto dedurne in che modo e in quale misura l'autorità penale aveva già tenuto conto dei diversi elementi concernenti il ricorrente rispettivamente non è dato di comprendere perché l'autorità competente in materia di diritto degli stranieri non dovrebbe (più) prenderli in considerazione (cfr. sentenza impugnata consid. 3.3 pag. 8 in fine) siccome, come già detto, nulla si sa riguardo alla maniera in cui sono stati valutati dall'autorità penale. In queste condizioni, in mancanza di una qualsiasi motivazione, non appare così evidente, contrariamente a quanto affermato in modo apodittico dalla Corte cantonale, potere dedurre dalla condanna inflitta nel 2015 che, quando la Corte cantonale si è pronunciata nel 2018, il ricorrente rappresentava una concreta minaccia per l'ordine pubblico svizzero.  
Questo quesito può nondimeno nel caso concreto rimanere irrisolto. In effetti, quand'anche fossero adempiuti i requisiti di cui all'art. 5 Allegato I ALC, per le ragioni esposte di seguito, la conclusione secondo cui la revoca del permesso di domicilio rispetta il principio della proporzionalità, sia dal profilo dell'art. 96 vLStr che da quello dell'art. 8 CEDU, non può invece essere condivisa. 
 
4.  
 
4.1. Anche in presenza di motivi di revoca, una tale misura si giustifica infatti solo quando, sulla base di una ponderazione globale degli interessi in gioco, appare proporzionata (art. 96 vLStr). Nell'esercizio del loro potere discrezionale, le autorità competenti tengono conto degli interessi pubblici e della situazione personale dello straniero, considerando la gravità di quanto gli viene rimproverato, la durata del suo soggiorno in Svizzera, il suo grado d'integrazione e il pregiudizio che l'interessato e la sua famiglia subirebbero se la misura venisse confermata. Per costante giurisprudenza, il primo criterio per valutare la gravità della colpa e per procedere alla ponderazione degli interessi è costituito dalla condanna inflitta (sentenza 2C_678/2019 del 21 novembre 2019 consid. 4.1 e riferimenti). La durata del soggiorno in Svizzera costituisce un altro criterio molto importante. Tanto più lunga è la durata della permanenza in Svizzera quanto più la revoca del permesso di domicilio soggiace a esigenze elevate (2C_113/2020 già citata consid. 6.2).  
 
4.2. L'esame della proporzionalità imposto dall'art. 96 vLStr è analogo a quello richiesto nell'ambito dell'applicazione dell'art. 8 par. 2 CEDU, norma alla quale il ricorrente, come già indicato (cfr. supra consid. 3.1) si richiama sia nell'ottica della vita familiare che privata. Le censure concernenti la violazione di questi disposti verranno quindi esaminate congiuntamente. Sposato dal 1990 e tuttora in comunione domestica con la moglie la quale, titolare di un permesso di domicilio dal 1990, dispone di un diritto a soggiornare in maniera duratura in Svizzera (sentenza 2C_586/2020 del 26 novembre 2020 consid. 4.1 e rinvii), il ricorrente può invocare l'art. 8 CEDU nell'ottica della vita familiare. Ciò non è invece il caso per quello che concerne le relazioni con i suoi due figli, ormai entrambi maggiorenni, non essendovi uno stato di dipendenza particolare tra di loro (2C_928/2020 del 19 gennaio 2021 consid. 2.3 e 2.3.1). Inoltre dato che vive legalmente in Svizzera da più di dieci anni egli può altresì fare valere la tutela della vita privata (sentenza 2C_338/2019 del 28 novembre 2019 consid. 5.3.1).  
 
4.3. Se un provvedimento si giustifica ma risulta inadeguato alle circostanze, alla persona interessata può essere rivolto un ammonimento con la comminazione di tale provvedimento (art. 96 cpv. 2 vLStr, di identico tenore all'attuale art. 96 cpv. 2 LStrI). Questa misura consente all'autorità di sanzionare un comportamento scorretto o di indurre ad un comportamento desiderato mediante la semplice minaccia di un provvedimento nell'ambito del diritto degli stranieri, in caso di inosservanza (SPESCHA/THÜR/ZÜND/BOLZLI, Migrationsrecht, Kommentar, 3aed. 2012, n. 7 all'art. 96 LStr). In quanto emanazione del principio di proporzionalità, l'ammonimento deve in sostanza impedire che si giunga ad un provvedimento che pone fine al soggiorno in Svizzera e nel contempo segnalare al suo destinatario l'esistenza di un comportamento problematico, in un momento in cui l'adozione della misura prospettata non si giustifica ancora (sentenza 2C_85/2021 citata consid. 5.2.3 e richiami).  
 
4.4. Come già indicato (cfr. supra consid. 4.1), persone che vivono in Svizzera da lungo tempo vanno in via di principio allontanate soltanto in presenza di ripetute e/o violazioni di un certo peso e segnatamente nel caso in cui, invece di trarre i dovuti insegnamenti, perseverano nel loro comportamento delittuoso, rendendosi colpevole di reati sempre più gravi (sentenza 2C_380/2015 del 19 febbraio 2016 consid. 3.3 secondo paragrafo e richiami).  
 
4.5. Al beneficio di permessi stagionali tra il 1986 e il 1990, il ricorrente si è visto accordare un permesso di dimora alla fine del 1990, il quale è stato trasformato nel 1995 in un permesso di domicilio e poi, con l'entrata in vigore dell'ALC (2002) in un permesso di domicilio UE/AELS. Il ricorrente si è stabilito in Svizzera nel 1990, all'età di 23 anni e mezzo. Vi si è sposato lo stesso anno con una connazionale con la quale vive tuttora; il suo matrimonio può quindi definirsi di lunga durata. La coppia ha avuto due figli, entrambi maggiorenni, che hanno anche acquisito la nazionalità svizzera, e che vivono e lavorano o studiano nel nostro Paese. Da quando è qui il ricorrente ha sempre esercitato un mestiere, tranne un'interruzione in seguito alla carcerazione preventiva subita dal 3 febbraio al 12 marzo 2015. Uscito di prigione ha subito ripreso a lavorare, cumulando anche diversi impieghi. Come da lui affermato senza essere contraddetto dalle autorità cantonali, ha una rete sociale di amici ed è apprezzato sui diversi posti di lavoro. Non è mai stato a carico della pubblica assistenza, non ha debiti, non vi sono procedure esecutive in corso contro di lui né sono stati emessi nei suoi confronti attestati di carenza beni. La condanna penale inflittagli nel 2015, dopo un quarto di secolo di residenza in Svizzera, per i reati di cui si è detto, e che ha dato adito alla procedura di revoca oggetto di disamina, è l'unica a suo carico. Come risulta dall'incarto di causa, a parte quest'episodio isolato, il ricorrente non ha infatti mai occupato le autorità giudiziarie, né prima né dopo la condanna del 2015, né in Svizzera né peraltro nel suo paese d'origine, come attestato dall'estratto del casellario giudiziale portoghese figurante agli atti. In altre parole non vi è (stata) reiterata delinquenza da parte sua. Al riguardo va aggiunto che, come adotto dall'interessato, senza essere smentito dalle autorità cantonali, egli ha smesso di propria iniziativa l'attività delittuosa, ha riconosciuto le proprie colpe e ha collaborato con gli inquirenti, anche dopo la sua condanna, ciò che ha permesso di arrestare il suo fornitore. In un simile comportamento si può intravvedere una presa di coscienza nonché una manifestata intenzione di non volere continuare sulla via della delinquenza. Il ricorrente, installatosi in Svizzera all'età di 23 anni, vi viveva da 28 anni quando il Tribunale amministrativo cantonale si è pronunciato, ossia da un tempo maggiore di quello trascorso nel proprio paese di origine. Premesse queste considerazioni, rammentato che la condanna penale è un episodio isolato, che l'interessato, il quale vive e lavora in Svizzera da ben più di un quarto di secolo, ha vissuto più anni nel nostro Paese che in Portogallo, la sua possibile reintegrazione nel paese d'origine, così come prospettata dalla Corte cantonale si rivelerebbe sicuramente eccessivamente difficile per lui, tenuto conto della sua età e degli anni passati all'estero. Sebbene la presente fattispecie costituisca un caso limite, il rispetto del principio della proporzionalità e la ponderazione degli interessi imposta dagli art. 96 cpv. 2 vLStr e 8 n. 2 CEDU depongono in favore dell'interesse privato del ricorrente a rimanere in un paese dove, da più di un quarto di secolo, vive con la moglie e i figli (sebbene questi siano ormai maggiorenni) e dove lavora a soddisfazione dei diversi datori di lavori.  
 
4.6. Il ricorrente è però sin d'ora avvertito (art. 96 cpv. 2 vLStr, di identico tenore all'art. 92 cpv. 2 LStrI) che, nel caso dovesse di nuovo cadere nell'illecito, rendendosi colpevole di atti penalmente rilevanti, si esporrà con verosimiglianza a misure di allontanamento (sentenze 2C_85/2021 già citata consid. 5.4 e 2C_617/2020 del 3 marzo 2021 consid. 4.4 e rispettivi richiami).  
 
5.  
 
5.1. Per quanto precede il ricorso è accolto, la sentenza impugnata è annullata e la causa è rinviata alle autorità migratorie ticinesi, affinché rilascino un permesso di domicilio UE/AELS al ricorrente.  
La causa è nel contempo rinviata al Tribunale amministrativo ticinese per nuova decisione su spese e ripetibili della sede cantonale (art. 68 cpv. 5 e art. 107 cpv. 2 LTF; sentenza 2C_85/2021 già citata consid. 6). 
 
5.2. Soccombente, lo Stato del Cantone Ticino è dispensato dal pagamento di spese (art. 66 cpv. 4 LTF). Esso deve però corrispondere al ricorrente, patrocinato da un avvocato, un'indennità per ripetibili per la sede federale (art. 68 cpv. 1 e 2 LTF).  
 
 
Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:  
 
1.  
Il ricorso è accolto. La sentenza emanata il 5 novembre 2018 dal Tribunale amministrativo del Cantone Ticino è annullata e la causa rinviata alla Sezione della popolazione del Dipartimento delle istituzioni del Cantone Ticino, affinché rilasci un permesso di domicilio UE/AELS al ricorrente. 
 
2.  
Il ricorrente è ammonito nel senso dei considerandi. 
 
3.  
Non vengono prelevate spese. 
 
4.  
La causa è nel contempo rinviata al Tribunale amministrativo del Cantone Ticino per nuova decisione sulle spese e sulle ripetibili della sede cantonale. 
 
5.  
Lo Stato del Cantone Ticino verserà al ricorrente un'indennità di fr. 2'500.-- per ripetibili della sede federale. 
 
6.  
Comunicazione al patrocinatore del ricorrente, alla Sezione della popolazione del Dipartimento delle istituzioni, al Consiglio di Stato e al Tribunale amministrativo del Cantone Ticino, nonché alla Segreteria di Stato della migrazione SEM. 
 
 
Losanna, 21 giugno 2021 
 
In nome della II Corte di diritto pubblico 
del Tribunale federale svizzero 
 
Il Presidente: Seiler 
 
La Cancelliera: Ieronimo Perroud