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Bundesgericht 
Tribunal fédéral 
Tribunale federale 
Tribunal federal 
 
                 
 
 
2C_90/2020  
 
 
Sentenza del 25 febbraio 2021  
 
II Corte di diritto pubblico  
 
Composizione 
Giudici federali Seiler, Presidente, 
Aubry Girardin, Donzallaz, 
Cancelliere Gadoni. 
 
Partecipanti al procedimento 
A.________ SA, 
patrocinata dagli avv. Matteo Rossi e Andrea Cantaluppi, 
ricorrente, 
 
contro 
 
Direzione generale delle dogane, Divisione principale, procedure ed esercizio, Monbijoustrasse 40, 3003 Berna. 
 
Oggetto 
riscossione posticipata di tributi doganali, 
 
ricorso in materia di diritto pubblico contro la sentenza emanata il 5 dicembre 2019 dalla Corte I del Tribunale amministrativo federale (incarto n. A-5576/2018). 
 
 
Fatti:  
 
A.   
La A.________ SA, con sede a X.________, è una società attiva nel commercio di automobili, nella loro riparazione e nell'esercizio di un garage. Tra il 28 gennaio 2014 e il 21 (recte: 22) settembre 2015 ha importato in Svizzera sei invii contenenti autovetture di diverse marche, in particolare Audi, Nissan e Skoda, provenienti da vari Paesi dell'Unione europea, segnatamente da Italia, Portogallo, Austria, Polonia e Spagna. All'atto di presentazione delle merci è stata fatta valere e ottenuta l'applicazione dell'aliquota di dazio preferenziale relativa ai prodotti di origine europea sulla base di certificati di circolazione delle merci (CCM) EUR.1. 
 
B.   
Nel periodo tra il mese di settembre (recte: marzo) del 2016 e il 15 maggio 2017, la Direzione generale delle dogane ha chiesto alle autorità doganali degli Stati di esportazione delle merci di effettuare un controllo a posteriori delle prove dell'origine presentate dalla A.________ SA al momento dell'importazione. 
 
C.   
Nel periodo tra il mese di agosto del 2017 e l'11 dicembre 2017, le autorità doganali estere hanno comunicato alla Direzione generale delle dogane che i documenti presentati erano autentici, ma i certificati di circolazione delle merci erano stati allestiti in modo non regolare, non essendo possibile attestare il carattere originario dei prodotti. La Direzione del circondario delle dogane di Lugano ha quindi comunicato a A.________ SA che le avrebbe richiesto il pagamento posticipato dei tributi in base all'aliquota di dazio normale in vigore al momento dello sdoganamento delle merci. 
 
D.   
Dopo una serie di atti che non occorre evocare, con decisione del 6 marzo 2018 la Direzione del circondario delle dogane di Lugano ha imposto alla società A.________ SA il versamento di un importo di fr. 17'543.60 a titolo di riscossione posticipata dei tributi doganali. Questa decisione è stata confermata con decisione su ricorso del 4 settembre 2018 dalla Direzione generale delle dogane, adita su ricorso della A.________ SA. 
 
E.   
Con sentenza del 5 dicembre 2019, la Corte I del Tribunale amministrativo federale (TAF) ha respinto in quanto ricevibile un ricorso presentato dalla A.________ SA contro la decisione del 4 settembre 2018 della Direzione generale delle dogane. 
 
F.   
La A.________ SA impugna questa sentenza con un ricorso in materia di diritto pubblico del 24 gennaio 2020 al Tribunale federale, chiedendo in via principale di annullarla e di annullare contestualmente la decisione della Direzione generale delle dogane. In via subordinata chiede che, dopo avere assunto numerosi mezzi di prova, il Tribunale federale dichiari validi i certificati di circolazione delle merci litigiosi. In via ulteriormente subordinata, la ricorrente chiede di rinviare gli atti all'autorità di primo grado perché assuma ulteriori prove ed emani una nuova decisione. La ricorrente fa valere la violazione degli art. 8 e 29 Cost. e degli art. 32 e 33 del Protocollo n. 3 dell'Accordo tra la Comunità economica europea e la Confederazione Svizzera relativo alla definizione della nozione di "prodotti originari" e ai metodi di cooperazione amministrativa, nel tenore previgente (RU 2013 2833), nonché dell'art. 32 dell'Appendice I della Convenzione regionale del 15 giugno 2011 sulle norme di origine preferenziali paneuromediterranee (RS 0.946.31). Lamenta inoltre la violazione del divieto dell'arbitrio nell'accertamento dei fatti e nella valutazione delle prove. 
 
G.   
Il TAF rinvia alla sua sentenza e comunica di non avere ulteriori osservazioni da formulare. L'Amministrazione federale delle dogane postula la reiezione del ricorso. Con osservazioni del 16 marzo 2020 la ricorrente si è confermata nelle sue conclusioni. 
Con decreto presidenziale del 29 gennaio 2020 è stata respinta la domanda di conferimento dell'effetto sospensivo contenuta nel ricorso. 
 
 
Diritto:  
 
1.  
 
1.1. Il ricorso è diretto contro una decisione finale (art. 90 LTF) pronunciata in una causa di diritto pubblico (art. 82 lett. a LTF) da parte del TAF (art. 86 cpv. 1 lett. a LTF). Il motivo di esclusione dell'art. 83 lett. l LTF, secondo cui il ricorso in materia di diritto pubblico è inammissibile contro le decisioni concernenti l'imposizione di dazi operata in base alla classificazione tariffaria o al peso delle merci, non entra in considerazione nella fattispecie. Il Tribunale federale ha infatti già avuto modo di rilevare che le contestazioni riguardanti i dazi preferenziali, rispettivamente quelle relative alla riscossione posticipata di un tributo doganale per il diniego di un trattamento preferenziale a seguito di un controllo a posteriori delle prove dell'origine, non rientrano nell'eccezione dell'art. 83 lett. l LTF (sentenze 2C_426/2020 del 23 luglio 2020 consid. 1.1; 2C_907/2013 del 25 marzo 2014 consid. 1.2.2; 2C_355/2007 del 19 novembre 2007 consid. 1.3). In concreto, è litigiosa la questione di sapere se l'importazione dei veicoli all'aliquota di dazio preferenziale relativa ai prodotti di origine europea era corretta o meno: ciò non concerne la classificazione tariffaria delle merci ai sensi della citata disposizione. Il ricorso al Tribunale federale è sotto questo profilo ammissibile.  
 
1.2. La ricorrente, obbligata a pagare un tributo doganale, è particolarmente toccata dalla sentenza impugnata ed ha un interesse degno di protezione all'annullamento della stessa. Essa è quindi legittimata a ricorrere (art. 89 cpv. 1 LTF). Il ricorso è tempestivo (art. 100 cpv. 1 LTF in relazione con l'art. 46 cpv. 1 lett. c LTF) e, sotto i citati aspetti, proponibile.  
 
1.3. Il Tribunale federale applica d'ufficio il diritto (art. 106 cpv. 1 LTF). Non è quindi vincolato né agli argomenti sollevati nel gravame né ai considerandi della precedente istanza. Esso può accogliere il ricorso sulla base di un motivo non invocato, rispettivamente respingerlo con una motivazione diversa da quella addotta dalla precedente istanza (DTF 145 II 153 consid. 2.1; 142 V 118 consid. 1.2).  
 
2.  
 
2.1. Conformemente a quanto stabilito dagli art. 95 e 96 LTF, il ricorso in materia di diritto pubblico al Tribunale federale può essere presentato per violazione del diritto, nel quale rientra pure il diritto costituzionale (DTF 136 II 101 consid. 3; 134 IV 36 consid. 1.4.1). Secondo l'art. 42 cpv. 2 LTF, nel ricorso occorre spiegare per quali ragioni l'atto impugnato viola il diritto. La ricorrente deve quindi confrontarsi con le considerazioni esposte nella sentenza impugnata, spiegando per quali motivi tale giudizio lede il diritto (DTF 142 I 99 consid. 1.7.1). II Tribunale federale esamina inoltre le censure di violazione di diritti costituzionali solo se adempiono le rigorose esigenze di motivazione dell'art. 106 cpv. 2 LTF. Ciò significa che, con riferimento ai motivi della decisione impugnata, la ricorrente deve indicare in modo chiaro e dettagliato in che modo sarebbero stati violati i suoi diritti costituzionali (DTF 134 II 244 consid. 2.2). Critiche appellatorie non sono ammesse (DTF 141 IV 317 consid. 5.4 pag. 324 e rinvii).  
 
2.2. Nella misura in cui la ricorrente si limita ad esporre in modo appellatorio la sua opinione, opponendola a quella della precedente istanza, il ricorso in esame non adempie le citate esigenze di motivazione e non può quindi essere esaminato nel merito. Sarebbe infatti spettato alla ricorrente confrontarsi puntualmente con i considerandi della sentenza impugnata, spiegando con una motivazione conforme alle esigenze degli art. 42 cpv. 2 e 106 cpv. 2 LTF per quali ragioni essi violerebbero le disposizioni invocate. Parimenti, il gravame non adempie tali requisiti laddove la ricorrente, richiamando l'art. 97 LTF, critica in generale l'accertamento dei fatti. I fatti accertati dal TAF sono in effetti di principio vincolanti per il Tribunale federale (cfr. art. 105 cpv. 1 LTF), tranne quando sono stati accertati in modo manifestamente inesatto, vale a dire arbitrario (DTF 145 IV 154 consid. 1.1; 143 I 310 consid. 2.2), o in violazione del diritto. In concreto, la ricorrente non sostanzia una violazione del divieto dell'arbitrio (art. 9 Cost.) nell'accertamento dei fatti e nella valutazione delle prove in modo chiaro e preciso, con una motivazione conforme alle esigenze poste dall'art. 106 cpv. 2 LTF (cfr. DTF 146 IV 88 consid. 1.3.1; 143 IV 500 consid. 1.1).  
 
3.  
 
3.1. Le merci introdotte in Svizzera sono soggette all'obbligo doganale e devono essere tassate secondo la legge sulle dogane, del 18 marzo 2005 (LD; RS 631.0) e la legge sulla tariffa delle dogane, del 9 ottobre 1986 ([LTD; RS 632.10]; cfr. art. 7 LD). Rimangono riservati i trattati internazionali (cfr. art. 2 cpv. 1 e 8 cpv. 1 lett. a LD).  
 
3.2. Secondo l'Accordo del 22 luglio 1972 tra la Confederazione Svizzera e la Comunità economica europea (ALS; RS 0.632.401), per determinati prodotti originari della Comunità ai sensi del Protocollo n. 3 dell'Accordo (RS 0.632.401.3) è garantito, dietro dimostrazione dell'origine, un trattamento doganale preferenziale, rispettivamente l'esenzione dal dazio (cfr. art. 2 segg. e art. 11 ALS). Per la prova dell'origine per l'importazione in Svizzera di prodotti originari della Comunità è segnatamente richiesta la presentazione di un certificato di circolazione delle merci (CCM) EUR.1. Questo certificato viene rilasciato dalle autorità doganali della Parte contraente esportatrice su richiesta scritta compilata dall'esportatore o, sotto la responsabilità di quest'ultimo, dal suo rappresentante autorizzato (cfr. art. 1 del Protocollo n. 3 nel tenore con effetto dal 1° febbraio 2016 in relazione con l'art. 16 n. 1 dell'Appendice I della Convenzione regionale del 15 giugno 2011 sulle norme di origine preferenziali paneuromediterranee [Convenzione PEM; RS 0.946.31]; cfr. art. 17 n. 1 del Protocollo n. 3 nel tenore previgente [RU 2013 2833]). Nel CCM, l'esportatore dichiara che le merci sono prodotti originari del territorio di una Parte contraente (cfr. art. 16 n. 2 dell'Appendice I e allegato IIIa della Convenzione PEM; cfr. art. 17 n. 2 del Protocollo n. 3 e allegato IIIa nel tenore previgente). Alla presentazione della prova dell'origine in modo conforme alle procedure applicabili, le autorità dello Stato d'importazione devono ammettere il carattere originario delle merci importate (sentenza 2C_426/2020, citata, consid. 3.2; DTF 114 Ib 168 consid. 1c pag. 171, relativa a una versione precedente del Protocollo n. 3). All'atto di esportazione delle merci, le autorità doganali dello Stato di esportazione si limitano di massima, per prassi, ad un esame formale della documentazione, senza controllare materialmente le merci (sentenze 2C_426/2020, citata, consid. 3.2; 2C_907/2013, citata, consid. 2.2.4; 2C_355/2007, citata, consid. 2; DTF 112 IV 53 consid. 2 pag. 57, relativa a una versione precedente del Protocollo n. 3).  
 
3.3. Un controllo a posteriori delle prove dell'origine è effettuato per sondaggio o ogniqualvolta le autorità doganali della Parte contraente importatrice abbiano validi motivi di dubitare dell'autenticità dei documenti, del carattere originario dei prodotti in questione o dell'osservanza degli altri obblighi di cui alla Convenzione (cfr. art. 32 n. 1 dell'Appendice I della Convenzione PEM; art. 33 n. 1 del Protocollo n. 3 nel tenore previgente). La procedura di questo controllo a posteriori è retta esclusivamente dal diritto interno dello Stato richiesto. Le autorità dello Stato d'importazione sono vincolate al risultato del controllo (sentenze 2C_426/2020, citata, consid. 5.1; 2C_907/2013, citata, consid. 2.2.5; 2C_355/2007, citata, consid. 2.2; DTF 114 Ib 168 consid. 1c pag. 171 e rinvii). La prova del carattere originario dei prodotti, che deve di principio essere portata soltanto nella procedura del controllo a posteriori, spetta all'esportatore (sentenza 2C_907/2013, citata, consid. 2.2.5; DTF 114 Ib 168 consid. 2b pag. 173). Se il carattere originario dei prodotti non può essere provato, la corrispondente comunicazione dell'autorità competente dello Stato d'esportazione deve essere equiparata ad una revoca formale del certificato di circolazione delle merci, alla quale l'autorità dello Stato d'importazione è parimenti vincolata (sentenza 2C_355/2007, citata, consid. 2.2; DTF 110 Ib 306 consid. 1 pag. 308 seg.).  
Il diritto internazionale pubblico non esclude che l'autorità richiedente possa chiedere ulteriori informazioni o presentare una nuova domanda di controllo all'autorità estera qualora dovessero emergere dubbi sul risultato del controllo, segnatamente perché la comunicazione della verifica appare equivoca o eventualmente incompleta (sentenza 2C_426/2020, citata, consid. 5.1; DTF 114 Ib 168 consid. 1d pag. 171 seg.). La questione di sapere se l'importatore può esigere dalle autorità doganali dello Stato d'importazione che sia chiesto alle autorità doganali dello Stato d'esportazione un complemento d'informazioni sul controllo a posteriori il cui risultato gli sia sfavorevole, concerne il diritto interno dello Stato d'importazione (sentenza 2C_426/2020, citata, consid. 5.1; DTF 114 Ib 168 consid. 1d pag. 172). Alla luce del principio dell'affidamento dedotto dalla buona fede secondo l'art. 26 della Convenzione di Vienna del 23 maggio 1969 sul diritto dei trattati (CV; RS 0.111), lo Stato richiedente è tuttavia tenuto dal profilo del diritto internazionale a fare affidamento sull'esposizione dello Stato richiesto, di modo che eventuali ulteriori informazioni devono di massima essere richieste solo in presenza di seri dubbi (DTF 146 II 150 consid. 7.1 pag. 179 seg.; 144 II 206 consid. 4.4 pag. 215 e rinvii). Simili dubbi rilevanti sono segnatamente dati quando sulla base dei fatti e dei mezzi di prova addotti si possa ritenere che le autorità doganali dello Stato d'esportazione rivengano sulla loro valutazione (sentenza 2C_426/2020, citata, consid. 5.1; DTF 114 Ib 168 consid. 2b pag. 173). Non è per contro ammissibile che le autorità dello Stato d'importazione possano stabilire loro stesse i fatti relativi all'origine delle merci sulla base di nuovi mezzi di prova, sottoponendo a verifica il risultato del controllo a posteriori eseguito dalle autorità dello Stato d'esportazione (sentenza 2C_426/2020, citata, consid. 5.1; DTF 114 Ib 168 consid. 1d pag. 172). 
 
4.   
Sotto il profilo temporale, la precedente istanza ha rettamente ritenuto applicabile alla procedura dei controlli a posteriori delle merci, eseguiti a partire dal marzo del 2016, il Protocollo n. 3 all'Accordo dell'ALS nel tenore della decisione 2/2015 del 3 dicembre 2015 del Comitato Misto UE-Svizzera, con effetto dal 1° febbraio 2016. Per quanto concerneva i requisiti della prova dell'origine rimaneva per contro determinante la versione del Protocollo n. 3 del 15 dicembre 2005 (RU 2013 2833). La ricorrente non mette in dubbio l'applicabilità di queste normative (cfr. sentenza 2C_426/2020, citata, consid. 3.3). 
 
5.  
 
5.1. La ricorrente rimprovera al TAF di avere accertato a torto che due delle richieste di controllo a posteriori delle prove dell'origine sarebbero state disposte dall'autorità doganale per una sospetta irregolarità di tali prove. Sostiene che l'accertamento sarebbe in contraddizione con quanto dichiarato dalla Direzione generale delle dogane nella decisione del 4 settembre 2018, secondo cui i controlli a posteriori sarebbero stati tutti eseguiti per sondaggio.  
 
5.2. Per motivare l'arbitrio, non basta criticare semplicemente la decisione impugnata contrapponendole una versione propria, ma occorre dimostrare per quale motivo l'accertamento dei fatti o la valutazione delle prove sono manifestamente insostenibili, si trovano in chiaro contrasto con la fattispecie, si fondano su una svista manifesta o contraddicono in modo urtante il sentimento della giustizia e dell'equità (DTF 143 IV 241 consid. 2.3.1 e rinvii; 129 I 173 consid. 3.1, 8 consid. 2.1).  
 
5.3. La ricorrente non si confronta con gli specifici accertamenti eseguiti dal TAF sulla base del contenuto delle singole richieste indirizzate dall'autorità doganale svizzera alle autorità doganali estere (cfr. sentenza impugnata, consid. 5.4.1, pag. 25), spiegando con una motivazione puntuale per quali ragioni quanto riportato nel giudizio impugnato contrasterebbe con gli atti. Non sostanzia l'arbitrio con una motivazione conforme alle esigenze dell'art. 106 cpv. 2 LTF. Comunque, l'accertamento secondo cui la richiesta di controllo a posteriori relativa al CCM EUR.1 n. X260565, inviata all'autorità doganale austriaca, secondo cui il controllo a posteriori era giustificato da sospetti per cui le autovetture Nissan del tipo Juke erano prodotte senza adempiere le condizioni di origine in Inghilterra corrisponde effettivamente al contenuto della richiesta. È parimenti conforme agli atti l'accertamento secondo cui la richiesta di controllo a posteriori concernente il CCM EUR.1 n. O 939522, trasmessa all'autorità doganale italiana, faceva riferimento a un precedente controllo che aveva rivelato l'irregolarità di una prova dell'origine. Adducendo che nella decisione del 4 settembre 2018 la Direzione generale delle dogane avrebbe menzionato solo i controlli per sondaggio, la ricorrente non considera quanto concretamente accertato dal TAF sulla base degli atti. Disattende altresì che, nella citata decisione, la Direzione generale delle dogane aveva pure rilevato che, quando dei controlli a sondaggio portano all'annullamento di prove dell'origine, l'autorità doganale esegue poi, in tale ambito, controlli più estesi riguardanti l'esportatore in questione.  
 
6.  
 
6.1. La ricorrente contesta la liceità dei controlli a posteriori delle prove dell'origine oggetto delle sei importazioni litigiose. Rimprovera alle autorità doganali di avere effettuato nei suoi confronti dei controlli sistematici senza disporre di una valida base legale.  
 
6.2. Addebitando genericamente alle autorità doganali di avere svolto dei controlli in maniera sistematica, la ricorrente si scosta dai fatti accertati senza sostanziarli d'arbitrio con una motivazione conforme alle esposte esigenze. Come visto, il TAF ha accertato in modo vincolante per il Tribunale federale (art. 105 cpv. 1 LTF) che in concreto i controlli a posteriori delle prove dell'origine sono stati disposti dall'autorità doganale svizzera per sondaggio e, in due casi, siccome nutriva dubbi sul carattere originario dei veicoli importati. Al riguardo, l'art. 32 n. 1 dell'Appendice I della Convenzione PEM prevede esplicitamente la facoltà di effettuare controlli a posteriori delle prove dell'origine per sondaggio o quando le autorità doganali dello Stato d'importazione abbiano validi motivi di dubitare dell'autenticità dei documenti o del carattere originario dei prodotti in discussione (cfr. l'analogo art. 33 n. 1 del Protocollo n. 3 nel tenore previgente). La citata norma costituisce in concreto la base legale per il controllo a posteriori delle prove dell'origine. Nella misura in cui adempie le citate esigenze di motivazione, la censura è quindi infondata.  
 
7.  
 
7.1. La ricorrente sostiene che l'autorità doganale svizzera non avrebbe sufficientemente sostanziato i dubbi che avrebbero giustificato il controllo a posteriori delle prove dell'origine. Adduce che, in realtà, detta autorità non avrebbe nutrito dubbi sulla provenienza europea dei veicoli importati, sapendo che la mancanza delle prove dell'origine era riconducibile unicamente alle difficoltà per un importatore parallelo di ottenerle successivamente da parte dei costruttori automobilistici.  
 
7.2. Ai fini del controllo a posteriori delle prove dell'origine giusta l'art. 32 n. 1 dell'Appendice I della Convenzione PEM, le autorità doganali dello Stato d'importazione rispediscono alle autorità doganali dello Stato d'esportazione il CCM EUR.1 e la fattura, se è stata presentata, la dichiarazione di origine, ovvero una copia di questi documenti, indicando, se del caso, i motivi che giustificano una richiesta di controllo. A corredo della richiesta di controllo sono inviati tutti i documenti e le informazioni ottenute che facciano sospettare la presenza di inesattezze nelle informazioni relative alla prova dell'origine (cfr. art. 32 n. 2 dell'Appendice I della Convenzione PEM; cfr., inoltre, l'art. 33 n. 2 del Protocollo n. 3 nel tenore previgente). Il controllo è effettuato dalle autorità doganali dello Stato d'esportazione: a tal fine esse hanno la facoltà di richiedere qualsiasi prova e di procedere a qualsiasi controllo dei conti dell'esportatore nonché a tutte le altre verifiche che ritengano opportune (cfr. art. 32 n. 3 dell'Appendice I della Convenzione PEM; cfr., inoltre, l'art. 33 n. 3 del Protocollo n. 3 nel tenore previgente).  
 
7.3. Come accertato dalla precedente istanza, l'autorità doganale svizzera ha rispedito alle autorità doganali estere i CCM EUR.1 in questione, chiedendo loro di eseguire un controllo a posteriori, adducendo in quattro casi una verifica per sondaggio e in due casi il sospetto di irregolarità delle prove dell'origine. Certo, l'autorità doganale ha motivato succintamente la richiesta. È tuttavia usuale che, non da ultimo per le barriere linguistiche, nell'ambito della cooperazione amministrativa internazionale, le autorità comunichino tra loro in forma breve e standardizzata (cfr. sentenza 2C_426/2020, citata, consid. 5.3). D'altra parte, qualora le informazioni fornite fossero state insufficienti per procedere ai controlli, le autorità doganali estere avrebbero potuto chiedere a quella richiedente ulteriori informazioni e documenti. In concreto, non risulta che le autorità doganali estere abbiano ritenuto insufficienti le informazioni trasmesse, tant'è che hanno potuto effettivamente svolgere i controlli a posteriori richiesti e comunicare all'autorità doganale svizzera i risultati ottenuti. L'asserzione secondo cui quest'ultima autorità non avrebbe avuto dubbi sull'origine europea dei veicoli importati non è fondata su specifici accertamenti oggettivi e vincolanti e rimane quindi una mera allegazione di parte. Peraltro, la notorietà dell'origine di un determinato prodotto nel territorio di una Parte contraente può essere ammessa soltanto con estremo riserbo, giacché, di regola, questa caratteristica deve essere constatata dalle autorità doganali sulla base di documenti ed eventualmente altri mezzi probatori idonei. Al riguardo, l'art. 17 n. 3 del Protocollo n. 3 nel tenore previgente prevede in particolare che l'esportatore che richiede il rilascio di un CCM EUR.1 deve poter presentare in qualsiasi momento tutti i documenti atti a comprovare il carattere originario dei prodotti in questione: questi documenti giustificativi sono elencati in modo non esaustivo dall'art. 28 dello stesso Protocollo n. 3 (cfr., inoltre, gli attuali art. 16 n. 3 e 27 dell'Appendice I della Convenzione PEM; sentenza 2C_426/2020, citata, consid. 5.3). La tesi della ricorrente, secondo cui i controlli a posteriori delle prove dell'origine sarebbero state eseguiti illecitamente è quindi infondata.  
 
8.  
 
8.1. La ricorrente ribadisce in questa sede la richiesta di assumere una serie di prove che avrebbero consentito di provare l'origine europea dei veicoli importati. Sia dinanzi alla precedente istanza sia in questa sede, la ricorrente ha segnatamente chiesto di richiamare dall'Amministrazione federale delle dogane altri incarti relativi a delle procedure di riscossione posticipata di tributi nei suoi confronti come pure tutte le richieste di controlli a posteriori delle prove dell'origine dei veicoli da lei importati mediante dei CCM EUR.1 negli ultimi cinque anni. Ha altresì postulato il richiamo dall'autorità doganale di tutti i CCM EUR.1 concernenti determinati modelli di autovetture di marca Audi, Nissan e Skoda importati in Svizzera negli ultimi cinque anni, nonché l'edizione da parte di questi costruttori automobilistici delle dichiarazioni di origine relative ai veicoli qui in discussione (specificati dai relativi codici VIN) e ai modelli analoghi alienati ai rivenditori autorizzati con sede in Svizzera negli ultimi cinque anni. La ricorrente sostiene che con questa documentazione avrebbe potuto dimostrare che i veicoli da lei importati sarebbero prodotti negli stabilimenti europei, analogamente a quelli importati in Svizzera dagli importatori ufficiali. A suo dire, le autorità doganali svizzere avrebbero inoltre dovuto quantomeno dubitare della completezza e della correttezza dei controlli a posteriori eseguiti dalle autorità estere e chiedere loro una nuova verifica.  
 
8.2. Come è stato esposto (cfr. consid. 3.3), la procedura del controllo a posteriori delle prove dell'origine è svolta dalle autorità doganali dello Stato d'esportazione sulla base del suo diritto interno. La prova del carattere originario dei prodotti spetta all'esportatore, non all'importatore, e le autorità dello Stato d'importazione sono vincolate al risultato del controllo. Con le argomentazioni e i mezzi probatori prospettati, la ricorrente parte a torto dal presupposto che le prove dell'origine possano essere addotte dall'importatore e verificate dall'autorità doganale dello Stato d'importazione. Nella procedura dinanzi all'autorità doganale svizzera il tema probatorio verte unicamente sui fatti che potrebbero lasciare presupporre che l'autorità doganale estera potrebbe rivenire sulla sua valutazione (cfr. sentenza 2C_426/2020, citata, consid. 5.2). Non spettava pertanto alle autorità svizzere stabilire autonomamente l'origine delle autovetture in questione eseguendo indagini ed accertamenti presso le case automobilistiche. Peraltro, i numeri di identificazione dei veicoli concretamente importati (codici VIN) figurano nei CCM EUR.1 litigiosi ed erano quindi noti alle autorità doganali degli Stati d'esportazione che hanno eseguito i controlli a posteriori delle prove dell'origine. I mezzi probatori addotti dalla ricorrente non sono di conseguenza rilevanti per la procedura dinanzi alle autorità svizzere, a maggior ragione ove si consideri ch'essi riguardano in generale anche altre importazioni, non oggetto del litigio. Essi non rendono seriamente ravvisabili inesattezze o manchevolezze delle comunicazioni dei risultati dei controlli, ma mirano a fare generalmente rivedere dalle autorità svizzere le valutazioni eseguite dalle autorità doganali degli Stati richiesti. Ne segue che le precedenti istanze non hanno violato il diritto di essere sentito della ricorrente rinunciando ad assumerle. Tale diritto non impedisce infatti all'autorità di procedere a un apprezzamento anticipato delle prove richieste e rinunciare ad assumerle, se, come in concreto, è convinta che non potrebbero condurla a modificare la sua opinione (DTF 144 II 427 consid. 3.1.3 pag. 435; 141 I 60 consid. 3.3). Nemmeno in questa sede si giustifica quindi di assumere le prove addotte dalla ricorrente.  
 
9.   
Il gravame non adempie infine le esigenze di motivazione dell'art. 106 cpv. 2 LTF laddove la ricorrente fa valere una violazione del divieto del formalismo eccessivo e del principio della parità di trattamento. Essa si limita infatti a rimproverare genericamente al TAF di avere posto esigenze troppo rigorose alla dimostrazione della prova dell'origine mediante prove documentali ed a sostenere che veicoli identici, prodotti nei medesimi stabilimenti europei, verrebbero trattati in modo diverso soltanto per la mancanza di un documento giustificativo, a dipendenza che siano importati da un importatore parallelo o da un importatore ufficiale. Tuttavia, il TAF ha rilevato che, per potere beneficiare di un trattamento preferenziale, anche gli importatori ufficiali, e non soltanto quelli paralleli, devono adempiere all'obbligo di presentazione della prova dell'origine. Insufficientemente motivate, le censure non devono essere esaminate oltre. Né occorre vagliare l'ammontare del tributo doganale a carico della ricorrente, da lei non specificatamente contestato. 
 
10.   
Ne segue che il ricorso deve essere respinto. Le spese giudiziarie seguono la soccombenza e sono pertanto poste a carico della ricorrente (art. 66 cpv. 1 LTF). Non si assegnano ripetibili ad autorità vincenti (art. 68 cpv. 3 LTF). 
 
 
 Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:  
 
1.   
Il ricorso è respinto. 
 
2.   
Le spese giudiziarie di fr. 2'000.-- sono poste a carico della ricorrente. 
 
3.   
Comunicazione ai patrocinatori della ricorrente, alla Direzione generale delle dogane e alla Corte I del Tribunale amministrativo federale. 
 
 
Losanna, 25 febbraio 2021 
 
In nome della II Corte di diritto pubblico 
del Tribunale federale svizzero 
 
Il Presidente: Seiler 
 
Il Cancelliere: Gadoni