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Tribunale federale 
Tribunal federal 
 
{T 0/2} 
2P.162/2004 /biz 
 
Sentenza del 21 aprile 2005 
II Corte di diritto pubblico 
 
Composizione 
Giudici federali Merkli, presidente, 
Hungerbühler, Wurzburger, Müller e Foglia, 
giudice supplente, 
cancelliere Bianchi. 
 
Parti 
A.________, 
ricorrente, patrocinato dall'avv. Vittorio Mariotti, 
 
contro 
 
Consorzio correzione fiume Ticino dalla Moesa 
al lago Maggiore, 6500 Bellinzona, 
Consiglio di Stato del Cantone Ticino, 
Residenza governativa, 6500 Bellinzona, 
Tribunale amministrativo del Cantone Ticino, 
Palazzo di Giustizia, via Pretorio 16, 6901 Lugano. 
 
Oggetto 
art. 9 e 29 Cost. (disdetta di concessioni per l'uso speciale di sedimi consortili), 
 
ricorso di diritto pubblico contro la sentenza 
del 14 maggio 2004 del Tribunale amministrativo 
del Cantone Ticino. 
 
Fatti: 
A. 
A.________ è titolare di una ditta che gestisce dal 1958 un impianto alla foce del fiume Ticino, noto come silos Ticino, utilizzato per il deposito e la lavorazione di inerti provenienti dall'Italia via lago ed in origine anche per l'estrazione di materiale dal fiume. La struttura si trova nella zona di protezione assoluta istituita nel corso degli anni settanta a salvaguardia dell'ecosistema delle Bolle di Magadino. L'attività aziendale si svolge essenzialmente su parte del mapp. n. 4235 RFD di Locarno, di proprietà del Consorzio correzione fiume Ticino dalla Moesa al lago Maggiore (di seguito: il Consorzio). 
B. 
Su due porzioni del suddetto fondo, con atti notarili del 13 dicembre 1962, rispettivamente dell'11 gennaio 1965, il Consorzio ha costituito a favore di A.________ due diritti di superficie per sé stanti e permanenti della durata di trent'anni: l'uno (4235/1 su 1'078 mq) per costruirvi un impianto per l'estrazione di sabbia e ghiaia e l'altro (4235/2 su 2'673 mq) per erigervi un deposito per macchinari ed automezzi. 
Sostituendo una precedente decisione del 1966, il 4 novembre 1988 il Consorzio ha inoltre concesso alla ditta l'autorizzazione ad usare un'area golenale ed arginale di 20'000 mq per il deposito d'inerti e relativa via d'accesso. L'autorizzazione aveva durata annuale a partire dal 1° gennaio 1989, con rinnovo tacito di anno in anno in mancanza di disdetta tre mesi prima della scadenza; per l'uso del sedime era prevista una tassa annua di fr. 1.-- al mq. 
Alle medesime condizioni di durata e disdetta, con scritto del 14 dicembre 1994 il Consorzio ha acconsentito a rinnovare transitoriamente dal 1° gennaio 1995 i diritti di superficie nel frattempo scaduti, concedendo l'uso dei terreni dietro versamento di un canone annuo di fr. 24'330.--. 
C. 
Rilevata l'incompatibilità dell'impianto aziendale con le esigenze di protezione naturalistica della zona in cui era ubicato, il 24 settembre 2002 il Consiglio di Stato del Cantone Ticino ha chiesto al Consorzio di fissare alla ditta un termine per l'arresto dell'attività e lo sgombero dei sedimi. Ciò sarebbe dovuto avvenire al più presto e comunque non oltre il 1° gennaio 2006. Il 12 dicembre 2002 la Delegazione centrale del Consorzio ha pertanto deciso di disdire per il 31 dicembre 2005 sia l'autorizzazione per l'uso speciale della golena e dell'argine, sia i diritti di superficie. Ha inoltre aggiunto che i fondi avrebbero dovuto venir riconsegnati nello stato in cui si trovavano al momento della concessione. 
A.________ ha impugnato la suddetta decisione dinanzi al Consiglio di Stato, che ha trasmesso il gravame per competenza al Tribunale amministrativo ticinese. Trattando l'atto come petizione, con giudizio del 14 maggio 2004 la Corte cantonale ha respinto le richieste dell'interessato tendenti, in via principale, all'invalidazione della risoluzione consortile e, in via subordinata, al prolungamento a tempo indeterminato dei diritti disdetti, all'accertamento dell'impossibilità di riconsegnare i terreni nello stato preesistente e all'ottenimento di una liquidazione quantificata in fr. 10'000'000.--. 
D. 
Il 23 giugno 2004 A.________ ha inoltrato un ricorso di diritto pubblico al Tribunale federale, con cui domanda l'annullamento della predetta decisione cantonale. Chiede inoltre che gli atti siano ritornati all'istanza inferiore per definire la competenza della giurisdizione di diritto amministrativo oppure il rinvio in sede civile della liquidazione dei diritti di superficie e dei rapporti contrattuali tra le parti. Egli lamenta, in sostanza, la violazione degli art. 9 e 29 Cost. 
Chiamati ad esprimersi, il Consorzio ha proposto la reiezione del ricorso, il Tribunale amministrativo si è riconfermato nella motivazione e nelle conclusioni della propria sentenza e il Consiglio di Stato ha dichiarato di rimettersi al giudizio del Tribunale federale. 
 
Diritto: 
1. 
Il Tribunale federale si pronuncia d'ufficio e con pieno potere d'esame sull'ammissibilità dei gravami che gli sono sottoposti (DTF 130 II 509 consid. 8.1, 388 consid. 1, 321 consid. 1). 
1.1 Il contestato giudizio del Tribunale amministrativo ticinese è una decisione finale resa da un'autorità cantonale di ultima istanza (art. 71 lett. a della legge ticinese di procedura per le cause amministrative, del 19 aprile 1966). La censura di incompetenza della Corte cantonale, a motivo dell'asserita applicabilità, su certi aspetti, del diritto privato federale, non muta il fatto che detto giudizio sia inoltre fondato sul diritto pubblico cantonale. Del resto nemmeno il ricorrente pretende di interporre un rimedio diverso dal ricorso di diritto pubblico. L'impugnativa, tempestiva, è pertanto di massima ammissibile dal profilo degli art. 84 segg. OG (cfr., per analogia, sentenze 1P.152/2002 del 4 luglio 2002, in: ZBl 104/2003 pag. 437 e 2P.206/1998 del 1° marzo 1999, consid. 1; cfr. anche sentenza 2P.48/1995 del 3 novembre 1995, in: ZBl 98/1997 pag. 71, consid. 1). In quanto titolare dei soppressi diritti d'uso sui terreni consortili, l'insorgente è toccato dal provvedimento litigioso nei suoi interessi giuridicamente protetti ed è quindi legittimato ad agire ai sensi dell'art. 88 OG (cfr., a fortiori, sentenza P.1590/1983 del 30 marzo 1984, in: ZBl 87/1986 pag. 368, consid. 1b). 
1.2 Salvo eccezioni in concreto non realizzate, il ricorso di diritto pubblico ha natura meramente cassatoria. Nella misura in cui il ricorrente chiede più o altro del semplice annullamento della decisione impugnata, il gravame risulta perciò inammissibile (DTF 129 I 129 consid. 1.2.1; 127 II 1 consid. 2c). 
1.3 In virtù dell'art. 90 cpv. 1 lett. b OG, l'atto di ricorso deve contenere l'esposizione dei fatti essenziali e quella concisa dei diritti costituzionali o delle norme giuridiche che si pretendono violati, specificando in cosa consista la violazione. Nell'ambito di un ricorso di diritto pubblico, il Tribunale federale non applica quindi d'ufficio il diritto, ma statuisce unicamente sulle censure sollevate dall'insorgente e solo se le stesse sono sufficientemente sostanziate (DTF 130 I 26 consid. 2.1; 129 III 626 consid. 4; 129 I 185 consid. 1.6, 113 consid. 2.1). 
2. 
Il ricorrente contesta essenzialmente la competenza del Tribunale amministrativo a pronunciarsi sulla disdetta dei rapporti tra il Consorzio e la propria ditta. Le critiche si riferiscono alla situazione derivante dai diritti di superficie costituiti negli anni sessanta su 3'751 mq, mentre non concernono invero l'area di 20'000 mq concessa in uso nel 1988. Secondo l'insorgente, malgrado i sedimi in questione siano di proprietà di un ente pubblico, la facoltà di occuparli che gli è stata garantita sarebbe di natura civilistica. La validità dell'estinzione di questa prerogativa e le relative modalità avrebbero dunque dovuto venir esaminate dalle autorità che esercitano la giurisdizione civile, anziché dal Tribunale amministrativo. Quest'ultimo sarebbe perciò incorso in un diniego di giustizia formale e nell'arbitrio. 
 
3. 
Secondo la giurisprudenza, commette tra l'altro un diniego di giustizia formale, violando l'art. 29 cpv. 1 Cost., l'autorità che omette di entrare nel merito di una causa, negando a torto la propria competenza materiale a pronunciarsi in proposito (DTF 125 III 440 consid. 2a; 117 Ia 116 consid. 3a). Il Tribunale federale verifica di principio liberamente se le garanzie minime offerte dall'art. 29 cpv. 1 Cost. siano state rispettate (DTF 116 Ia 433 consid. 3). Ora, nel caso specifico il ricorrente non pretende che l'istanza inferiore non abbia affrontato la vertenza pur essendo competente a farlo, ma che si sia espressa quando invece avrebbe dovuto astenersene. Egli si duole insomma di una situazione inversa rispetto a circostanze che potrebbero semmai configurare un diniego di giustizia formale. Il richiamo alla citata norma costituzionale risulta pertanto infondato. In realtà l'insorgente censura infatti l'applicazione arbitraria delle regole di competenza cantonali. 
4. 
4.1 Una decisione non è arbitraria, e pertanto contraria all'art. 9 Cost., per il semplice fatto che una soluzione diversa da quella adottata è immaginabile o addirittura preferibile; lo è, invece, quando risulta manifestamente insostenibile, in contraddizione palese con la situazione effettiva, gravemente lesiva di una norma o di un chiaro principio giuridico o in contrasto intollerabile con il sentimento di giustizia e di equità. La decisione deve inoltre risultare arbitraria nel suo risultato e non solo nella sua motivazione (DTF 129 I 173 consid. 3.1, 49 consid. 4, 8 consid. 2.1). È entro questi ristretti limiti che nella fattispecie va in particolare verificata la questione di sapere se il litigio costituisca una causa di diritto privato o un procedimento di diritto pubblico (DTF 96 I 97 consid. 2a e 2b; sentenza 1P.152/2002 del 4 luglio 2002, in: ZBl 104/2003 pag. 437, consid. 3.2). 
4.2 Come già accennato, per permettere l'esercizio dell'attività aziendale il Consorzio ha accordato al ricorrente, in un primo tempo, un'autorizzazione d'uso di diritto pubblico e, in più, due diritti di superficie (art. 779 segg. CC). Si trattava di diritti per sé stanti e permanenti, costituiti rispettando la forma dell'atto pubblico imposta dall'art. 779a CC ed iscritti a registro fondiario il 15 dicembre 1962, rispettivamente il 14 gennaio 1965, per una durata convenuta di trent'anni. Incontestabilmente in questa prima fase l'ente consortile ha dunque regolamentato l'uso dei suoi fondi, oltre che con un permesso di natura pubblicistica, mediante un istituto di diritto privato. Fintanto che non viene pregiudicato l'adempimento dei compiti pubblici a cui sono destinati, i beni immobiliari di proprietà statale possono d'altronde tranquillamente venir gravati di diritti reali limitati, secondo le norme del diritto privato (DTF 103 II 227 consid. 4; 97 II 371 consid. 3c; Max Imboden/René Rhinow, Schweizerische Verwaltungsrechtsprechung, Vol. II, 6a ed., Basilea e Francoforte 1986, n. 115 B IV d). 
4.3 Con uno scambio di lettere del 5 e del 14 dicembre 1994 il Consorzio e il ricorrente hanno in qualche modo nuovamente disciplinato l'uso dei terreni oggetto dei diritti di superficie, posto che per gli altri fondi continuava a rinnovarsi tacitamente la concessione stipulata nel 1988. Secondo il ricorrente i citati scritti integrerebbero gli estremi di un rinnovo dei precedenti diritti di natura privata. Per la Corte cantonale essi costituirebbero invece un atto di concessione per l'uso speciale dei sedimi, a carattere pubblicistico. Dalla qualifica dell'atto giuridico derivante da tali lettere dipende logicamente anche quella della disdetta intimata il 12 dicembre 2002 e, di riflesso, la competenza del Tribunale amministrativo a rendere il giudizio impugnato. 
4.3.1 Con la sua richiesta del 5 dicembre 1994, il ricorrente ha domandato al Consorzio il rinnovo di anno in anno delle concessioni d'uso del sedime consortile, eventualmente previa ridefinizione delle condizioni per l'esercizio di tale diritto di superficie temporaneo. In risposta, l'ente pubblico si è dichiarato d'accordo di rinnovare transitoriamente i diritti di superficie, con una concessione di un anno rinnovabile tacitamente e dietro pagamento di un canone stabilito in base al regolamento consortile. Il tenore letterale dei due scritti non appare dunque del tutto univoco. 
4.3.2 Dal profilo del diritto privato, occorre tuttavia considerare che al momento dello scambio di lettere uno dei due diritti di superficie originari era estinto da ormai due anni, mentre il secondo era sul punto di seguire analoga sorte. In effetti questo genere di diritto reale limitato prende fine automaticamente l'ultimo giorno della durata convenuta; la radiazione delle servitù a registro fondiario, in concreto avvenuta solo il 21 gennaio 2003, ha pertanto valore puramente dichiarativo (Peter Isler, in: Basler Kommentar zum Schweizerischen Privatrecht, Zivilgesetzbuch II, 2a ed., Basilea 2003, n. 3 ad art. 779c [cit. BaKomm]). Visto il principio dell'estinzione immediata, è logico che il prolungamento di un diritto di superficie possa avvenire solo entro la scadenza della durata precedentemente stabilita (Isler, BaKomm, n. 9 ad art. 779l). Occorre inoltre che sia rispettata la forma prescritta per la sua costituzione (art. 779l cpv. 2 CC). Nel caso specifico, al rinnovo dei diritti a sé stanti e permanenti accordati negli anni sessanta ostava dunque non solo, per uno di loro, l'avvenuta estinzione, ma anche, per entrambi, l'assenza di forma autentica del preteso accordo di protrazione. La validità di quest'ultimo poteva inoltre apparire problematica pure per l'assenza di indicazioni precise sull'ulteriore durata del diritto concesso (Peter Isler, Der Baurechtsvertrag und seine Ausgestaltung, tesi Berna 1973, pag. 41 [cit. Baurechtsvertrag]). 
Secondo il ricorrente, negli scritti menzionati potrebbe perlomeno venir ravvisata la costituzione ex novo di diritti di superficie non a sé stanti né permanenti. Tuttavia, benché in questa forma non sia richiesto l'atto pubblico, ma solo un contratto scritto (art. 779a CC, a contrario), l'esistenza del diritto presuppone in ogni caso la sua iscrizione nel registro fondiario (Isler, BaKomm, n. 18 e 19 ad art. 779). Nella fattispecie non risulta però che un'iscrizione a questo titolo sia mai avvenuta; al riguardo non può certo assumere valore la mantenuta menzione dei precedenti diritti, con caratteristiche sostanzialmente differenti. 
4.3.3 Sotto vari aspetti appare dunque difficilmente sostenibile ritenere l'uso dei sedimi consortili retto, dopo il 1994, da un rapporto di diritto privato, nella forma di un diritto di superficie. Questa considerazione potrebbe già di per sé bastare ad escludere l'arbitrio del risultato a cui è pervenuta la Corte cantonale. 
Ad ogni modo, non è errato assumere che la zona golenale delle Bolle di Magadino costituisca un bene consortile d'uso comune (Ulrich Häfelin/Georg Müller, Grundriss des allgemeinen Verwaltungsrechts, 4a ed., Zurigo 2002, n. 2346 segg.; Adelio Scolari, Diritto amministrativo, parte speciale, Bellinzona 1993, n. 530 segg.), in quanto direttamente destinata all'adempimento degli scopi pubblici definiti dal regolamento del Consorzio e soprattutto derivanti, nel corso degli ultimi decenni, dal sicuro interesse alla sua tutela naturalistica. L'utilizzo di questi terreni in funzione di un'attività aziendale legata alla lavorazione di inerti rappresenta dunque una forma di sfruttamento diversa da quella a cui essi sono di principio destinati. Già in virtù dell'art. 27 del regolamento consortile del 7 settembre 1983, che è indubbiamente una normativa di diritto pubblico, un tale uso necessita un permesso della delegazione centrale del Consorzio. Occorre dunque un atto di natura pubblicistica, espressione dell'imperio statale. Quando ad un privato viene permesso un uso particolare di un bene pubblico d'uso comune, ossia una disponibilità esclusiva e particolarmente intensa, viene più precisamente utilizzato lo strumento della concessione (Häfelin/Müller, op. cit., n. 2418 segg.). Non a torto tale qualifica può dunque venir attribuita alla lettera del Consorzio del 14 dicembre 1994. L'autorità si è del resto espressamente richiamata alla tassa di concessione per l'uso speciale dei beni prevista dall'art. 28 del regolamento. Dal profilo giuridico essa ha in sostanza equiparato l'utilizzo di questi fondi al regime già adottato per l'area ben più ampia concessa per il deposito degli inerti. È infine irrilevante che nello scambio di lettere si possano intravedere anche degli aspetti di tipo contrattuale: anche queste parti di una concessione d'uso di un bene demaniale soggiacciono infatti al diritto pubblico (DTF 109 II 76 consid. 3; Häfelin/Müller, op. cit., n. 2593; Imboden/Rhinow, op. cit., n. 119 B III; Scolari, op. cit., n. 1019). 
4.3.4 Sulla base di quanto precede, la conclusione del Tribunale amministrativo in merito al carattere pubblicistico del rapporto giuridico tra le parti per quanto concerne l'utilizzo dei sedimi consortili dall'inizio del 1995 non può pertanto venir considerata arbitraria. Di conseguenza, non è censurabile nemmeno la competenza a giudicare la vertenza assunta dalla Corte cantonale. 
4.4 Il ricorrente sostiene tuttavia che in base all'assunto dell'istanza inferiore egli si vedrebbe privato dell'indennizzo garantito al superficiario all'estinzione del diritto di superficie, per l'automatica devoluzione al proprietario del fondo delle costruzioni erette (art. 779c e 779d CC). Adduce che un risarcimento analogo dovrebbe comunque venirgli riconosciuto anche in sede amministrativa. 
4.4.1 Il diritto all'equa indennità prevista dall'art. 779d CC non è stato in alcun modo soppresso. Esso è però divenuto effettivo negli anni 1992 e 1995, ossia, come usuale, quando si sono estinti i diritti di superficie, ed è pertanto da tale momento che potevano semmai venir avanzate le relative rivendicazioni in sede civile. Di principio, l'azione rimane comunque ancora riservata, sempre che, tra l'altro, non sia già intervenuta la prescrizione. In ogni caso, pur non essendo questa la sede per valutare simili pretese, giova rilevare che l'indennità dipende dal maggior valore oggettivo apportato all'immobile dalle costruzioni realizzate dal superficiario, in funzione tuttavia dell'interesse soggettivo e dell'arricchimento per il proprietario del fondo (Isler, BaKomm, n. 4 ad art. 779d; Isler, Baurechtsvertrag, pag. 120). In questo senso occorre tener conto anche di eventuali limitazioni di valore, note al superficiario, derivanti dal regime pianificatorio (Pascal Simonius/Thomas Sutter, Schweizerisches Immobiliarsachenrecht, Vol. II, Basilea/Francoforte 1990, pag. 146, n. 59). In virtù di questi criteri, nella fattispecie non dovrebbe venir accordata alcuna indennità o la stessa dovrebbe comunque rimanere contenuta entro i minimi termini. Come sostiene il Consorzio in maniera assai verosimile, i manufatti edificati non rivestono infatti più alcun interesse, dal momento che l'attività esercitata finora nell'area golenale non può più continuare. 
4.4.2 Nell'ottica del diritto pubblico, non è poi privo di fondamento, ma anzi corrisponde all'opinione della dottrina, ritenere che alla fine di una concessione d'uso speciale, in assenza di accordi contrari, il proprietario non sia di principio tenuto a versare alcun indennizzo per il maggior valore del fondo (André Grisel, Traité de droit administratif, Vol. I, Neuchâtel 1984, pag. 293; Tomas Poledna, Staatliche Bewilligungen und Konzessionen, Berna 1994, n. 309). Analogamente, è quantomeno sostenibile pretendere che il concessionario restituisca nello stato originario i beni affidatigli (Pierre Moor, Droit administratif, Vol. III, Berna 1992, pag. 308; Blaise Knapp, Précis de droit administratif, 4a ed., Basilea/Francoforte 1991, n. 1434; Grisel, loc. cit.). Formalmente il regime appare dunque differente rispetto a quello previsto alla scadenza di un diritto di superficie (Poledna, loc. cit.). In concreto, a prescindere dal fatto che non è stata stipulata alcuna clausola sulla riversione, determinante sarebbe comunque risultata pure in questo caso l'impossibilità di utilizzare ulteriormente le strutture aziendali. Ben difficilmente un eventuale indennizzo avrebbe perciò potuto essere minimamente significativo. La mancanza di interesse al mantenimento degli impianti rafforza altresì la fondatezza dell'ordine di ripristino. I tempi prospettati sono peraltro ben superiori a quelli della disdetta trimestrale consapevolmente accettata dal ricorrente fin dal 1995. Anche su questo punto, la decisione impugnata resiste perciò alle censure ricorsuali. 
5. 
In esito alle considerazioni esposte, il ricorso, nella misura in cui è ammissibile, va pertanto respinto, siccome infondato. 
La tassa di giustizia va posta a carico del ricorrente, secondo soccombenza (art. 156 cpv. 1, 153 cpv. 1 e 153a OG). Non si assegnano ripetibili ad autorità vincenti (art. 159 cpv. 2 OG). 
 
Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia: 
1. 
Nella misura in cui è ammissibile, il ricorso è respinto. 
2. 
La tassa di giustizia di fr. 5'000.-- è posta a carico del ricorrente. 
3. 
Comunicazione al patrocinatore del ricorrente, al Consorzio correzione fiume Ticino dalla Moesa al lago Maggiore, al Consiglio di Stato e al Tribunale amministrativo del Cantone Ticino. 
Losanna, 21 aprile 2005 
In nome della II Corte di diritto pubblico 
del Tribunale federale svizzero 
Il presidente: Il cancelliere: