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Regesto

Art. 3, art. 5 n. 1 lett. f, art. 8 CEDU; art. 10 cpv. 3, art. 25 cpv. 3 Cost.; art. 76a, art. 80a cpv. 5 LStr; art. 1 cpv. 3, art. 4 dell'Accordo di associazione alla normativa di Dublino; art. 28 cpv. 1 e 2 del Regolamento Dublino III.
Un comportamento contrario al divieto di tortura rispettivamente di pene e trattamenti inumani o degradanti (art. 3 CEDU) può risultare anche dalla detenzione di bambini in un ambiente inadatto agli stessi; ciò può comportare sia una lesione della loro posizione giuridica sia di quella dei membri più prossimi della famiglia (consid. 2.2 e 2.3). La carcerazione separata dei genitori e la collocazione dei loro tre figli più grandi in un istituto senza la possibilità di un contatto telefonico non raggiunge ancora, anche se di poco, la soglia dell'art. 3 CEDU (consid. 2.4). La questione a sapere se, nell'ottica dell'art. 5 n. 1 lett. f CEDU, la carcerazione in vista di rinvio coatto dei genitori e la collocazione dei figli in un istituto, giuridicamente equivalente a una privazione della libertà, era legale può rimanere indecisa (consid. 3). Quando bambini e giovani di meno di 15 anni, che in base al diritto interno non possono essere posti in carcerazione in vista di rinvio coatto secondo la procedura di Dublino, sono collocati in un istituto nel contesto della carcerazione dei loro genitori, l'autorità conferisce ai primi lo statuto di minori stranieri non accompagnati e impedisce il ricongiungimento con i familiari più prossimi, che avrebbe tuttavia l'obbligo di facilitare in applicazione dell'art. 8 CEDU. Tenuto conto del bene dei figli, una simile ingerenza è proporzionata ai sensi dell'art. 8 n. 2 CEDU solo se la carcerazione è ordinata come ultima ratio, dopo avere scartato, al termine di un esame approfondito e nel rispetto meticoloso del principio di celerità, altre misure meno incisive. Nella fattispecie, assenza di un esame delle misure meno incisive di una carcerazione, di modo che l'art. 8 CEDU è stato violato (consid. 4).

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