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Urteilskopf

126 III 161


28. Estratto della sentenza 23 dicembre 1999 della II Corte civile nella causa A. contro B. (ricorso per riforma)

Regeste

Art. 28 ff. ZGB, 49 und 60 OR; Verantwortlichkeit einer Druckerei für Persönlichkeitsverletzung in einer von ihr gedruckten Zeitung.
Eine Klage zum Schutz der Persönlichkeit und eine Genugtuungsklage gelten auch dann als gleichzeitig im Sinn von Art. 28b Abs. 2 ZGB erhoben, wenn zunächst am Wohnsitz des Klägers Genugtuungsansprüche erhoben werden und erst später - sofern dies nach kantonalem Prozessrecht überhaupt möglich ist - auf Schutz der Persönlichkeit geklagt wird (E. 2).
Bei einer Pressekampagne beginnt die einjährige Verjährungsfrist gemäss Art. 60 Abs. 1 OR solange nicht zu laufen, bis das Ende der persönlichkeitsverletzenden Publikationen erkennbar ist (E. 3).
Die Klagen zum Schutz auf Persönlichkeit gemäss Art. 28a Abs. 1 und 2 ZGB können gegen Personen erhoben werden, die an der Persönlichkeitsverletzung mitgewirkt haben, ohne dass ein Verschulden vorausgesetzt wäre (E. 5a). Allerdings ist das Vorliegen eines Verschuldens für die Zusprechung von Genugtuung in den Fällen erforderlich, in denen ein Verschulden für die Zusprechung von Schadenersatz verlangt wird (E. 5b/aa; Präzisierung der Rechtsprechung). Konkretisierung der Sorgfalt, die von einer Druckerei zu verlangen ist (E. 5b/bb und cc).

Erwägungen ab Seite 162

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Dai considerandi:

2. a) La convenuta, con sede a Lugano, eccepisce l'incompetenza territoriale del Pretore di Bellinzona. Essa sostiene che la competenza di tale giudice non può essere fondata né sull'art. 28b CC né sulle norme di procedura cantonali concernenti il litisconsorzio.
b) Giusta l'art. 28b CC le azioni di protezione della personalità sono proposte al giudice del domicilio dell'attore o del convenuto (cpv. 1); se l'attore pretende simultaneamente, a causa della lesione subita, una riparazione morale, egli può proporre questa azione al suo domicilio (cpv. 2).
In concreto l'attore ha proposto sia un'azione di protezione della personalità, e cioè ha chiesto al giudice di proibire una lesione imminente (art. 28a cpv. 1 n. 1 CC), sia un'azione di riparazione del torto morale (art. 49 CO). Nella fattispecie è stata prima chiesta la riparazione del torto morale e poi, con la replica, la domanda è stata estesa alla protezione della personalità. Tuttavia tale circostanza non
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significa che le due azioni non fossero pendenti simultaneamente ai sensi dell'art. 28b cpv. 2 CC, ritenuto che l'azione di riparazione è stata introdotta in un momento in cui una tale domanda era, giusta il diritto processuale cantonale, ancora proponibile. Nella misura in cui la convenuta rimprovera alla Corte cantonale di aver violato i disposti del codice di procedura civile concernenti la mutazione dell'azione, la critica ricorsuale si avvera inammissibile nella giurisdizione per riforma, poiché diretta contro l'applicazione del diritto processuale cantonale (art. 43 cpv. 1 e 55 cpv. 1 lett. c OG). Ne segue che l'attore poteva proporre innanzi al giudice del proprio domicilio la domanda di riparazione morale. Potendosi la competenza territoriale del Pretore di Bellinzona fondare sull'art. 28b cpv. 2 CC, è irrilevante sapere se tale competenza fosse pure data giusta le norme del diritto procedurale sul foro di un litisconsorzio. Del resto, una censura in tal senso è già inammissibile nella giurisdizione per riforma per il fatto che essa non concerne una violazione del diritto federale. La critica ricorsuale, nella misura in cui risulta ammissibile, si rivela pertanto infondata.

3. a) La convenuta contesta poi che sia stata promossa una campagna di stampa nei confronti dell'attore. I giudici cantonali dovevano invece procedere a una valutazione articolo per articolo ed accogliere l'eccezione della prescrizione per gli scritti apparsi prima del 18 marzo 1991.
b) La Corte cantonale ha accertato che dal 16 settembre 1990 al 27 maggio 1993 sono stati pubblicati 35 articoli concernenti l'attore. I giudici cantonali hanno poi reputato che, anche qualora si volesse accogliere l'eccezione dell'intervenuta prescrizione per gli articoli diffusi prima del 18 marzo 1991, nulla cambierebbe per quanto concerne la responsabilità della convenuta, considerato il contenuto lesivo degli scritti apparsi dopo tale data.
c) Giusta l'art. 60 cpv. 1 CO l'azione di riparazione si prescrive in un anno decorribile dal giorno in cui il danneggiato conobbe il danno e la persona responsabile, e in ogni caso nel termine di 10 anni dall'atto che ha causato il danno. La conoscenza del danno include pure la cognizione della sua estensione. Il danneggiato dev'essere in grado di valutare, almeno a grandi linee, il danno complessivo: il processo che lo provoca dev'essere concluso (DTF 112 II 118 consid. 4). Finché l'evento dannoso perdura non può sussistere una conoscenza dell'intero danno e il termine di prescrizione non comincia a decorrere (DTF 109 II 418 consid. 3 con rinvii). Questi principi generali sono pure applicabili nell'ambito di danni causati da
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mass media. Se la lesione della personalità viene cagionata da una serie di pubblicazioni, non è possibile valutare il danno finché la fine di tali pubblicazioni non è ravvisabile.
In concreto, secondo gli accertamenti contenuti nella sentenza impugnata - vincolanti per il Tribunale federale (art. 63 cpv. 2 OG) - la serie di articoli riguardanti l'attore è continuata fino alla fine di maggio 1993. Così stando le cose, il 18 marzo 1992 l'attore non poteva ancora prevedere la conclusione dell'evento lesivo, che ormai perdurava da diverso tempo. Ne segue che il 18 marzo 1992, data d'inoltro della petizione, l'attore non aveva conoscenza del danno complessivo, motivo per cui l'azione di riparazione non poteva risultare prescritta per gli articoli apparsi prima del 18 marzo 1991. Del resto, la stessa convenuta riconosce che la lesione causata da una campagna di stampa è più intensa di quella cagionata da un solo articolo.

4. Nel ricorso per riforma la convenuta riporta 5 citazioni dagli articoli apparsi nel settimanale, ritenendo che sulla base di tali testi non è possibile risp. difficile fondare un'indennità per torto morale. Così facendo essa riconosce il carattere lesivo dei rimanenti scritti menzionati nella sentenza impugnata. Inoltre, con riferimento agli estratti citati nel ricorso, la convenuta non indica, conformemente all'art. 55 cpv. 1 lett. c OG, in che modo la sentenza cantonale violerebbe il diritto federale, motivo per cui la critica ricorsuale non va esaminata oltre. La convenuta sembra poi misconoscere che la Corte cantonale ha ritenuto la campagna di stampa, in quanto tale, lesiva della personalità dell'attore. Per confermare la pertinenza di tale valutazione è sufficiente il rinvio ai titoli - riportati nella sentenza impugnata - in cui si scrive di ruberie in grande stile, di furti commessi dalle casse malati, la cui federazione era presieduta dall'attore, o alla polemica in cui l'attore veniva accusato di fare campagna elettorale a spese degli assicurati o ancora agli stelloncini in cui egli veniva tacciato di truffare la gente. Inconsistente è infine l'asserzione contenuta nel ricorso, secondo cui nel contesto politico un linguaggio forte è consuetudine. Segnatamente con le accuse di un comportamento penalmente rilevante sono stati superati i limiti tollerabili nella discussione politica.

5. La convenuta ritiene che il principio di una responsabilità a cascata, come quella prevista dal codice penale per la punibilità dei mass media, è pure applicabile nell'ambito della protezione della personalità. Inoltre la severità della giurisprudenza (DTF 64 II 18, in cui viene riconosciuta una responsabilità del tipografo) citata dalla Corte cantonale per statuire sulla pretesa per torto morale è unicamente
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comprensibile se si tiene conto del contesto storico in cui è stata emanata. La menzionata sentenza è stata peraltro pronunciata prima dell'entrata in vigore del Codice penale e quindi dell'art. 27 CP, che prevede una punibilità sussidiaria del tipografo, unicamente nell'eventualità che né l'autore dell'opera né il redattore responsabile possano essere individuati.
a) Alla convenuta è stato ordinato, sulla base dell'art. 28a cpv. 1 n. 1 CC, di cessare ogni pubblicazione di fatti non veri riguardanti la persona dell'attore e la sua attività professionale.
aa) Chi è illecitamente leso nella sua personalità, può a sua tutela, chiedere l'intervento del giudice contro chiunque partecipi all'offesa (art. 28 cpv. 1 CC). A tal fine, il leso dispone delle azioni previste nell'art. 28a cpv. 1 e 2 CC; sono fatte salve le azioni di responsabilità con cui viene chiesto il risarcimento del danno e la riparazione morale (art. 28a cpv. 3 CC). Ne segue che con le azioni di protezione della personalità possono essere convenute in giudizio le persone che partecipano all'offesa. In particolare non è necessario il sussistere di una colpa, potendo la sola partecipazione condurre a una lesione della personalità e ciò anche qualora le persone coinvolte non ne siano - o non ne possano essere - a conoscenza. L'art. 28 cpv. 1 CC offre pertanto la possibilità, con un cumulo di azioni, di procedere nei confronti dell'autore, del redattore responsabile, dell'editore e eventualmente di qualcun altro che ha partecipato alla diffusione del giornale (DTF 113 II 213 consid. 2b pag. 216).
bb) In concreto è priva di pertinenza l'argomentazione con cui la convenuta sostiene che la (severa)DTF 64 II 14 è stata emanata prima dell'entrata in vigore del Codice penale e quindi dell'art. 27 CP, che prevede in primo luogo la punibilità dell'autore dell'opera e che permette di punire il tipografo unicamente se né l'autore né il redattore responsabile possono essere individuati. Innanzi tutto con la menzionata sentenza, il Tribunale federale si era pronunciato sulla responsabilità, secondo il diritto civile, per una lesione della personalità. Inoltre, nell' ambito della novella del 1983 concernente la protezione della personalità, il legislatore ha rinunciato esplicitamente a introdurre una speciale disciplina per i mezzi di comunicazione di massa, quale quella prevista nell'ambito penale dall'art. 27 CP (Messaggio concernente la revisione del Codice civile svizzero, protezione della personalità, art. 28 CC e 49 CO, FF 1982 II 648). Tale dichiarata volontà di permettere al leso di procedere contro ogni partecipante all'offesa, impedisce di primo acchito un'interpretazione degli art. 28 segg. CC nel senso suggerito dalla convenuta.
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Nella misura in cui essa asserisce che una parte della dottrina (Franz Riklin, Bemerkungen zur Passivlegitimation bei Persönlichtkeitsverletzungen durch die Presse, in: Die Verantwortlichkeit im Recht, Zurigo 1981, vol. I, pag. 247 segg.) è propensa a limitare la legittimazione passiva alle sole persone che hanno un reale influsso sul contenuto della pubblicazione, la convenuta misconosce che tale contributo dottrinale è anteriore alla novella legislativa del 1983. Del resto, la tesi ricorsuale non trova alcuna conferma nella rimanente letteratura sull'argomento (DENNIS BARRELET, Droit de la communication, Berna 1998, n. 1384; ANDREAS BUCHER, Natürliche Personen und Persönlichkeitsschutz, 3a ed., n. 567; SCHÜRMANN/NOBEL, Medienrecht, Berna 1993, pag. 238 seg.; PEDRAZZINI/OBERHOLZER, Grundriss des Personenrechts, Berna, 1993, pag. 154, n. 6.4.4.3; PIERRE TERCIER, Le nouveau droit de la personnalité, Zurigo 1984, n. 840 segg., FRANZ RIKLIN, Schweizerisches Presserecht, Berna 1996, pag. 224 n. 88).
La convenuta non contesta (a giusta ragione) di aver partecipato all'illecita lesione della personalità dell'attore. Nella misura in cui afferma di non aver avuto la possibilità di controllare il contenuto di quanto stampava, essa accenna una questione concernente la colpa, che, nell'-ambito della regolamentazione della protezione della personalità prevista dal CC, è irrilevante. Riconoscendo la legittimazione passiva della convenuta, la Corte cantonale non ha violato il diritto federale.
b) In applicazione degli art. 49 e 50 CO, la ricorrente è inoltre stata condannata in solido con gli altri convenuti a versare all'attore fr. 15'000.- di indennità per torto morale.
aa) Chiunque è tenuto a riparare il danno illecitamente cagionato ad altri sia con intenzione, sia per negligenza od imprudenza (art. 41 cpv. 1 CO). Chi è illecitamente leso nella sua personalità può chiedere, quando la gravità dell'offesa lo giustifichi e questa non sia stata riparata in altro modo, il pagamento di una somma a titolo di riparazione morale (art 49 cpv. 1 CO). Se il danno è stato cagionato da più persone insieme, tutte sono responsabili in solido verso il danneggiato (art. 50 cpv. 1 CO). La responsabilità secondo gli art. 41 risp. 49 CO, presuppone in linea di principio l'esistenza di una colpa delle persone convenute in giudizio; la sola partecipazione (oggettiva) all'offesa non è sufficiente.
È vero che nella DTF 120 II 97 consid. 2c il Tribunale federale ha affermato che la colpa non è una condizione per accordare un'indennità per torto morale. Tale obiter dictum non può tuttavia, nella
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sua lapidarietà, essere confermato e non trova sostegno nelle citazioni riportate nella predetta sentenza. Nel Messaggio del Consiglio federale viene infatti unicamente menzionata la rinuncia al presupposto, spesso criticato, di una colpa particolarmente grave, poiché non è ravvisabile per quale motivo la personalità, in quanto tale, debba essere meno protetta degli interessi patrimoniali (Messaggio concernente la revisione del Codice civile svizzero, protezione della personalità, art. 28 CC e 49 CO, FF 1982 II 671). Nella DTF DTF 117 II 50 consid. 3a è poi stato indicato, riferendosi alla DTF 112 II 220 consid. 2f, che qualora il risarcimento danni non dipenda dall'esistenza di una colpa, questa non è nemmeno richiesta per riconoscere un'indennità per torto morale. Nella DTF 112 II 220 consid. 2f è stato spiegato, con riferimento ai materiali legislativi, che l'art. 49 CO, nel suo nuovo tenore, non presuppone più l'esistenza di una colpa grave e qualora un risarcimento danni sia dovuto senza una colpa, la stessa non può essere richiesta per assegnare una riparazione morale (cfr. pure DTF 123 III 204 consid. 2e). Infine BREHM (Commento bernese, all'art. 49 CO n. 6) afferma che a causa della rinuncia al requisito di una colpa particolarmente grave, l'autore del danno è pure responsabile per il pregiudizio morale, anche nei casi di leggera negligenza o di responsabilità causale e rinvia a titolo di esempio agli art. 333 e 679 CC e 54, 55 e 56 CO. Niente di diverso risulta dai dibattiti parlamentari, estensivamente illustrati da THOMAS SUTTER, dai quali emerge chiaramente che per accordare una riparazione morale sulla base dell' art. 49 CO è necessario il sussistere di una colpa, se la condanna a un risarcimento del danno la presuppone (Voraussetzungen der Haftung bei Verletzung der Persönlichkeit nach Artikel 49 des revidierten Obligationenrechts, in: BJM 1991, pag. 1 segg. in particolare pag. 11). Ne segue che dai materiali legislativi non può essere dedotto che con l'introduzione del nuovo art. 49 CO il legislatore abbia voluto creare una norma di responsabilità autonoma e indipendente dall'esistenza di una colpa. Poiché in concreto un risarcimento danni sarebbe dipeso dalla dimostrazione di una colpa della convenuta, anche la riparazione morale presuppone l'esistenza di una colpa.
bb) Nella misura in cui la convenuta ritiene in questo ambito la DTF 64 II 14 particolarmente severa e unicamente comprensibile se collocata nel contesto storico in cui è stata pronunciata, essa ne misconosce il significato. Fino ad allora la giurisprudenza era fluttuante e la colpa del tipografo era occasionalmente supposta, non appena era accertato che egli non aveva rifiutato di stampare un articolo
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lesivo della personalità (consid. 2 pag. 18; GUHL, Rechtsprechung des Bundesgerichts im Jahre 1938, in: ZBJV 1939, pag. 595). Con la DTF 64 II 14 il Tribunale federale ha abbandonato questa severa concezione, chiedendo all'attore di provare anche nei confronti del tipografo l'esistenza di tutti i presupposti dell'azione e segnatamente anche la sussistenza di una colpa. Nella sentenza in discussione il Tribunale federale ha negato la responsabilità della tipografia per i seguenti motivi: da un lato, essa non aveva partecipato in alcun modo alla redazione del testo incriminato e non ne conosceva il contenuto prima della messa in stampa e, dall'altro, perché si trattava di un quotidiano serio, che normalmente non diffondeva testi ingiuriosi. In queste circostanze il semplice fatto che la tipografia abbia stampato l'articolo, senza conoscerne il contenuto, non era sufficiente per imputarle una partecipazione colpevole all'offesa. Per contro, in un'altra sentenza pronunciata il medesimo anno, il Tribunale federale ha riconosciuto la responsabilità del tipografo accanto a quella dell'editore. Dopo l'apparizione del primo articolo, essi non potevano ignorare che il giornale aveva iniziato una campagna che portava a una grave violazione degli interessi del leso e che le fonti del giornale erano tutt'altro che sicure. La loro colpa è stata ritenuta ancora più grave, non trattandosi di un articolo isolato, che avrebbe potuto sfuggire alla loro vigilanza e che il giornale non era per la prima volta coinvolto in una diffamazione (DTF 64 II 24).
La summenzionata giurisprudenza merita conferma. Ciò significa innanzi tutto che la diligenza esatta dal tipografo non è la medesima di quella domandata all'autore o al redattore responsabile di una pubblicazione. Se trattasi di un giornale serio, non può essere preteso che egli sottoponga a un controllo preventivo tutti gli articoli che stampa. Unicamente qualora sussistano circostanze particolari che devono destare la sua attenzione, lo stampatore deve procedere a un controllo accurato. Se per contro si tratta di periodici sensazionalistici o di tendenza o ancora se l'incriminata affermazione non costituisce una rara eccezione, ma i redattori del periodico hanno ripetutamente violato le relative norme legali, il tipografo non può semplicemente ignorare tali fatti. In siffatte circostanze può da lui essere esatta una particolare vigilanza. In presenza di una serie di articoli problematici può essere richiesta una diligenza ancora maggiore; è segnatamente pensabile che già il titolo di un articolo debba attirare l'attenzione del tipografo (vedi la compilazione della giurisprudenza di RAINER SCHUMACHER, Die Presseäusserungen als
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Verletzung der persönlichen Verhältnisse, Friborgo 1960, pag. 249; cfr. anche BARRELET, op. cit., n. 1388; PEDRAZZINI/OBERHOLZER, loc. cit.; TERCIER, op. cit., n. 1841 seg., 1878, 1904 segg. e 1916).
cc) Il Tribunale di appello ha rigettato le obiezioni sollevate in questo contesto (e in parte riproposte nella sede federale), secondo cui nel 1990/91 il settimanale era nuovo, i giornalisti e gli editori non si erano fino ad allora resi colpevoli di ingiurie o diffamazioni e le moderne tecnologie impediscono qualsiasi controllo da parte della tipografia. I giudici cantonali hanno rilevato che il periodico ha adottato fin dai suoi esordi una linea editoriale aggressiva, se non scandalistica. Già nel novembre 1990 aveva pubblicato una vignetta satirica in cui l'attore era raffigurato da bugiardo con un lungo naso da Pinocchio. In seguito il tono degli articoli si è fatto via via più corrosivo, cosicché al più tardi nel dicembre 1990 i responsabili della tipografia avrebbero dovuto rendersi conto che, perlomeno leggendo il settimanale il giorno dopo la sua pubblicazione, la serie di articoli aveva finito per assumere un carattere diffamatorio o addirittura ingiurioso. La sentenza impugnata rinvia a questo proposito, fra l'altro, alle accuse di reati e di comportamenti scorretti dell'attore risp. delle casse malati negli articoli recanti titoli quali "Una ruberia in grande stile" (edizione del 2 dicembre 1990), "Stop ai furti delle CM" (edizione 9 dicembre 1990), "Casse malati incompetenti e forse ladre" (edizione del 16 dicembre 1990) e "Casse malati: qualcuno ha rubato" (edizione del 23 dicembre 1990). Inoltre, secondo gli accertamenti contenuti nella sentenza impugnata, i responsabili della tipografia erano a conoscenza dei diritti di risposta pubblicati il 30 settembre e il 7 ottobre 1990 su richiesta dell'attore e delle querele penali ampiamente menzionate nell'edizione del 3 febbraio 1991.
Nella misura in cui la convenuta afferma di non essere stata a conoscenza delle querele penali, essa critica inammissibilmente un accertamento di fatto vincolante per il Tribunale federale nella giurisdizione per riforma (art. 55 cpv. 1 lett. c e 63 cpv. 2 OG). Irrilevante è pure l'argomentazione ricorsuale secondo cui la maggior parte degli articoli non è stata oggetto di un procedimento penale; decisiva è piuttosto la circostanza che la convenuta ha avuto conoscenza delle querele penali al più tardi all'inizio del mese di febbraio 1991, motivo per cui avrebbe dovuto aumentare la propria vigilanza.
In concreto, in virtù dei vincolanti accertamenti di fatto della sentenza impugnata, sono dati i presupposti stabiliti dalla giurisprudenza per esigere dal tipografo un dovere di diligenza accresciuto.
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Non è nemmeno possibile affermare che la diligenza imposta al tipografo sia eccessiva. Le difficoltà tecniche, inerenti a un controllo prima della tiratura, fatte valere dalla convenuta, che indica non aver dovuto riscrivere i testi, poiché riceveva il giornale già composto su supporti informatici o via modem, sono state considerate dalla Corte cantonale. I giudici cantonali non hanno infatti preteso che la convenuta procedesse, fin dall'inizio, a particolari controlli, ma hanno ritenuto che essa doveva, dopo l'apparizione dei primi articoli diffamatori, essere consapevole di partecipare alla diffusione di dichiarazioni palesemente idonee a ledere la personalità dell'attore. Da quel momento la convenuta avrebbe dovuto intervenire presso la società editrice ed eventualmente concordare con quest'ultima la consegna degli articoli in un lasso di tempo che ne avrebbe permesso il controllo o rifiutarsi di continuare a stampare articoli concernenti l'attore. La convenuta è invece rimasta passiva e ha così accettato che con ogni ulteriore articolo della serie la personalità dell'attore potesse venire nuovamente lesa. Inconsistente risulta quindi anche l'argomentazione ricorsuale secondo cui la convenuta, non conoscendo le fonti di informazione degli articolisti, non poteva accertarne la veridicità. L'opinione dei giudici cantonali secondo cui la convenuta doveva controllare, al più tardi dal dicembre 1990, il contenuto di ciò che stampava e che non avendolo fatto essa ha agito con negligenza appare pertanto corretta. Ne segue che con il riconoscimento della legittimazione passiva per quanto concerne l'azione di riparazione risp. con la condanna della convenuta al pagamento di un'indennità per torto morale, la Corte cantonale non ha violato il diritto federale.

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