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Bundesgericht 
Tribunal fédéral 
Tribunale federale 
Tribunal federal 
 
 
 
2C_499/2015  
   
   
 
 
 
Sentenza del 6 settembre 2017  
 
II Corte di diritto pubblico  
 
Composizione 
Giudici federali Seiler, Presidente, 
Zünd, Aubry Girardin, Haag, De Rossa Gisimundo, Giudice supplente, 
Cancelliera Ieronimo Perroud. 
 
Partecipanti al procedimento 
Sindacato svizzero dei servizi pubblici SSP/VPOD Zurigo/Lugano, 
patrocinato dall'avv. Mario Branda, 
 
ricorrente, 
 
contro 
 
Consiglio di Stato del Cantone Ticino, 
Residenza governativa, 6500 Bellinzona. 
 
Oggetto 
Libertà sindacale: accesso a stabili amministrativi nonché esercizio di attività sindacali al loro interno, 
 
ricorso contro la sentenza emanata il 23 aprile 2015 dal Tribunale amministrativo del Cantone Ticino (52.2012.24). 
 
 
Fatti:  
 
A.   
Con risoluzione n. 6671 del 29 novembre 2011, prendendo spunto da un atto parlamentare che sollevava il tema dell'attività sindacale all'interno degli stabili amministrativi, il Consiglio di Stato del Cantone Ticino ha notificato alle associazioni del personale dello Stato le seguenti regole: 
 
1. L'accesso agli stabili amministrativi del Cantone per attività sindacali per principio non è ammesso. 
2. Eventuali richieste per incontri di carattere sindacale con personale dello Stato affiliato alle predette Associazioni nelle sale di riunione dell'Amministrazione cantonale, su temi specifici dei rapporti di lavoro, da tenersi al di fuori dei normali orari di lavoro, vanno preventivamente rivolte alla Cancelleria dello Stato. 
3. L'affissione di locandine e la distribuzione di volantini e giornali periodici è possibile previa consegna ai Servizi di informazione ed ai custodi degli stabili dell'Amministrazione cantonale che provvederanno all'esposizione nei luoghi prestabiliti. 
 
Il Consiglio di Stato ha giustificato il provvedimento con l'esigenza di "assicurare prioritariamente la normale attività quotidiana del personale dell'Amministrazione cantonale e la necessaria discrezione su dati e documenti presenti negli uffici", senza d'altra parte "ledere i diritti sindacali di tenere i contatti con i propri aderenti". 
 
B.   
Il 21 dicembre 2011, su richiesta del patrocinatore del Sindacato svizzero dei servizi pubblici SSP/VPOD (di seguito Sindacato VPOD oppure VPOD), il Consiglio di Stato ha comunicato che la risoluzione in questione, originariamente sprovvista dell'indicazione dei rimedi giuridici, era impugnabile davanti al Tribunale cantonale amministrativo come decisione individuale e concreta o, in ogni caso, come decisione generale, e che il termine di ricorso decorreva dall'intimazione di quest'ultima comunicazione. 
 
C.   
Il 16 gennaio 2012, il Sindacato VPOD è quindi insorto contro la risoluzione 29 novembre/21 dicembre 2011 davanti al Tribunale cantonale amministrativo, il quale con sentenza del 23 aprile 2015 ha respinto il gravame, nella misura in cui era ricevibile. La Corte cantonale ha giudicato, in sintesi, che il diritto di accesso agli stabili - al di fuori del contesto di uno sciopero lecito - non costituiva una prerogativa indispensabile della libertà sindacale e, di riflesso, non conferiva neppure il diritto ad un accesso libero e indiscriminato agli stabili amministrativi. Il rifiuto di concedere un'autorizzazione generale per l'uso speciale (quale era quello generato dall'esercizio dell'attività sindacale in questione) di un bene amministrativo rispettava pertanto il principio di proporzionalità. 
 
D.   
Il 2 giugno 2015 il Sindacato VPOD ha interposto dinanzi al Tribunale federale un ricorso in materia di diritto pubblico con cui chiede di annullare e riformare il giudizio impugnato nel senso che la risoluzione 29 novembre/21 dicembre 2011 venga a sua volta annullata. A suo avviso, il divieto di accesso dei sindacati agli stabili amministrativi lede in maniera inammissibile la libertà sindacale nonché la libertà di opinione e di informazione garantite sia dalla Costituzione federale, sia dal diritto internazionale (art. 28, rispettivamente 16 Cost. e art. 10 CEDU). 
Chiamati ad esprimersi, il Tribunale cantonale amministrativo si è riconfermato nelle motivazioni e nelle conclusioni del giudizio impugnato senza formulare osservazioni, mentre il Consiglio di Stato ha proposto la reiezione del gravame. 
La II Corte di diritto pubblico del Tribunale federale ha trattato la causa nella seduta pubblica del 6 settembre 2017. 
 
 
Diritto:  
 
1.  
 
1.1. Il Tribunale federale esamina d'ufficio e con piena cognizione la propria competenza (art. 29 cpv. 1 LTF), rispettivamente l'ammissibilità dei gravami che gli vengono sottoposti (DTF 141 II 113 consid. 1 pag. 116; 140 I 90 consid. 1 pag. 92).  
 
1.2. Il Tribunale giudica, tra l'altro, i ricorsi contro le decisioni finali emesse da un'autorità di ultima istanza cantonale con natura di tribunale superiore in cause di diritto pubblico (art. 82 lett. a, 86 cpv. 1 lett. d e cpv. 2 LTF) che non ricadono sotto alcuna delle eccezioni previste dall'art. 83 LTF, così come i ricorsi contro gli atti normativi cantonali (art. 82 lett. b LTF), i quali sono direttamente proponibili, entro 30 giorni dalla pubblicazione nel Bollettino ufficiale che conclude la procedura legislativa (art. 101 LTF; DTF 133 I 286 consid. 1 pag. 288), quando non sono disponibili rimedi giuridici cantonali che ne permettano il controllo astratto (art. 82 lett. b e 87 cpv. 1 LTF; DTF 142 V 395 consid. 1.1 pag. 396 seg.).  
 
1.3. Esprimendosi sulla natura della risoluzione dinanzi ad esso impugnata, il Tribunale cantonale amministrativo ha innanzitutto osservato che, anche se non era stato pubblicato, l'atto contestato, destinato a disciplinare una situazione relativamente concreta e concernente una cerchia indeterminata di destinatari non era una decisione di carattere individuale e concreto, né d'altra parte aveva indole normativa poiché, non inserendosi nel quadro di un ordinamento volto a regolare in termini generali l'accesso agli stabili amministrativi, non possedeva natura astratta e generale. Tenuto conto del carattere sufficientemente concreto delle disposizioni contenute ai dispositivi n. 1 (divieto di accesso di principio per attività sindacali) e n. 3 (possibilità di affissare locandine e di distribuire volantini e giornali periodici a determinate condizioni) della risoluzione nonché della determinabilità del novero dei destinatari, la Corte cantonale ha quindi giudicato che si era in presenza di una decisione generale (cosiddetta  Allgemeinverfügung), dinanzi ad esso impugnabile. Ne faceva invece eccezione il dispositivo n. 2 (possibilità di organizzare incontri di carattere sindacale con personale dello Stato affiliato nelle sale riunioni dell'amministrazione, su temi specifici legati ai rapporti di lavoro, previo ottenimento di un'autorizzazione) il quale, necessitando ancora di un ulteriore atto di imperio (autorizzazione) ai fini della sua attuazione, aveva carattere normativo e non era pertanto impugnabile, siccome il diritto ticinese non prevedeva rimedi giuridici contro gli atti normativi cantonali. Al riguardo il gravame era quindi irricevibile.  
 
1.4. Ora, qualificare la risoluzione governativa, a seconda dei suoi dispositivi, in parte come una decisione generale (n. 1 e 3) e per l'altra come un atto normativo di carattere generale (n. 2) suscita qualche perplessità, poiché impone a colui che la vuole impugnare di seguire procedure ricorsuali differenti, dinanzi ad autorità anch'esse differenti. In effetti, non essendovi in Ticino, come già accennato, rimedi giuridici cantonali che ne permettono il controllo astratto, un atto normativo va contestato direttamente al Tribunale federale entro trenta giorni dalla sua pubblicazione (art. 82 lett. b, 87 cpv. 1 e 101 LTF), mentre una decisione generale deve dapprima essere impugnata in sede cantonale e poi, se del caso, contestata dinanzi al Tribunale federale entro trenta giorni della notifica del giudizio cantonale di ultima istanza (art. 82 lett. a, art. 86 cpv. 1 lett. d e cpv. 2 e art. 100 LTF). Nel caso specifico, il ricorrente è venuto a conoscenza della distinzione tra la natura dei tre dispositivi unicamente con la pronuncia del giudizio di merito della Corte cantonale, ma non ha fatto distinzioni nella scelta delle vie ricorsuali ed ha impugnato la regolamentazione governativa nella sua totalità davanti al Tribunale federale.  
In queste condizioni, ci si potrebbe invero chiedere se il gravame, in quanto rivolto contro il dispositivo n. 2 non debba essere considerato prematuro e venir sospeso, la risoluzione governativa non essendo stata ancora pubblicata (vedasi sulla questione DTF 136 I 17 consid. 1.2 pag. 20; 133 I 286 consid. 1 pag. 288). Sennonché, le circostanze particolari della fattispecie impongono di adottare una diversa soluzione. Come appena illustrato, il ricorrente è stato reso attento a questa duplice natura dei dispositivi del provvedimento e, di conseguenza, delle vie di ricorso, solo con l'emanazione della sentenza cantonale (il Consiglio di Stato avendo definito la risoluzione come una decisione individuale e concreta o, in ogni caso, come decisione generale impugnabile dinanzi al Tribunale cantonale amministrativo), nell'ambito della quale la Corte cantonale si è comunque espressa sul dispositivo n. 2 (vedasi sentenza impugnata pag. 15 consid. 7.4). Egli, nel proprio allegato ricorsuale, ha poi formulato censure contro la risoluzione governativa nel suo insieme. Appare pertanto preferibile nonché opportuno, per motivi di economia processuale, creare una situazione sin da subito chiara, invece di sospendere parzialmente l'attuale procedimento nell'attesa di una pubblicazione della risoluzione governativa, essendo in ogni caso manifesta la volontà del ricorrente di contestarla in tutti i suoi punti. Dinanzi al Tribunale federale il presente ricorso è quindi ammissibile nella sua totalità e l'esame di questa Corte si riferirà all'insieme delle censure sollevate dal ricorrente. 
 
1.5. Il Sindacato VPOD dispone nel contempo della necessaria legittimazione a ricorrere ai sensi dell'art. 89 cpv. 1 LTF. Esso invoca principalmente una lesione della libertà sindacale, che è garantita ai lavoratori, ai datori di lavoro nonché alle loro organizzazioni (art. 28 Cost.) e che, accanto alla sua componente individuale, ne contempla anche una collettiva. Un sindacato del servizio pubblico può invocare la libertà sindacale collettiva (DTF 140 I 257 consid. 5.1.1 pag. 261 e riferimenti dottrinali), che gli garantisce in particolare la possibilità di esistere e di agire in quanto tale, difendendo cioè gli interessi dei propri soci (MANFRED REHBINDER, Die Koalitionsfreiheit als öffentlich-rechtliches Freiheitsrecht, in: Gegenwartsprobleme der Koalitionsfreiheit, 1979, pag. 12; CHARLES-ALBERT MORAND, Rapports pour le Colloque International sur la liberté syndicale des salariés, 1978, pag. 15 e 17; PIERRE GARRONE, La liberté syndicale, in: Droit constitutionnel suisse, 2001, pag. 795 segg., segnatamente pag. 797 n. 7 e 9; MÜLLER/SCHEFER, Grundrechte in der Schweiz, 4aed. 2008, pag. 1089 seg.; V ALLENDER/HETTICH, in: Die schweizerische Bundesverfassung - St. Galler Kommentar, 3aed. 2014, n. 13 ad art. 28). Il ricorrente rivendica in particolare un diritto di accesso agli stabili dell'Amministrazione cantonale quale componente indispensabile dell'esercizio della libertà sindacale. Determinare se tale diritto di accesso sia effettivamente garantito è tuttavia una questione di merito e non di ricevibilità. A questo stadio, è sufficiente constatare che il ricorrente è legittimato a sollevare la censura di una pretesa violazione della libertà sindacale collettiva provocata dalla misura contestata, la quale lo colpirebbe direttamente nell'esercizio della sua attività, indipendentemente dalla situazione e dagli interessi dei suoi soci (DTF 129 I 113 consid. 1.3-1.4 pag. 117 seg. e consid. 1.6 pag. 119).  
Nella misura in cui poi il sindacato invoca anche la libertà di opinione e di informazione, occorrerebbe valutare se esso possa essere ammesso ad agire con il cosiddetto ricorso corporativo ( egoistische Verbandsbeschwerde cfr. DTF 137 II 40 consid. 2.6.4 pag. 46; 134 II 120 consid. 2 pag. 122 seg.; 130 II 514 consid. 2.3.3 pag. 519). La questione può invero rimanere indecisa siccome ad ogni modo, come si vedrà, il ricorso deve essere accolto già sulla base della censura sollevata in relazione alla violazione della libertà sindacale.  
 
1.6. Presentata in tempo utile (art. 100 cpv. 1 LTF) e nella forma prescritta dalla legge (art. 42 LTF), l'impugnativa è quindi di massima ammissibile quale ricorso in materia di diritto pubblico.  
 
2.   
 
2.1. Con il ricorso in materia di diritto pubblico può in particolare venir censurata la violazione del diritto federale (art. 95 lett. a LTF), nozione che comprende i diritti costituzionali dei cittadini (DTF 141 I 78 consid. 4.1 pag. 82 e rinvio). Salvo che per i casi citati espressamente dall'art. 95 LTF, con detto rimedio non può invece essere criticata la violazione del diritto cantonale, di cui può semmai esser denunciata un'applicazione arbitraria (DTF 138 V 67 consid. 2.2 pag. 69 e riferimenti).  
 
2.2. Di principio, il Tribunale federale applica il diritto d'ufficio (art. 106 cpv. 1 LTF); esso non è vincolato né agli argomenti fatti valere nel ricorso né ai considerandi sviluppati dall'istanza precedente. La violazione di diritti fondamentali è invece esaminata unicamente se la parte ricorrente ha sollevato e motivato tale censura (art. 106 cpv. 2 LTF; DTF 134 II 244 consid. 2.2 pag. 246). Nella sua impugnativa, è necessario che quest'ultima specifichi quali diritti ritiene lesi ed esponga le critiche in modo chiaro e circostanziato, accompagnandole da un'argomentazione esaustiva. Il Tribunale federale non entra invece nel merito di critiche formulate in maniera puramente appellatoria (DTF 138 V 67 consid. 2.2 pag. 69; 135 V 309 consid. 10 pag. 318; 134 II 244 consid. 2.2 pag. 246 e rispettivi richiami).  
 
2.3. Nel contesto di un controllo astratto, il Tribunale federale si impone nel contempo un certo riserbo, annullando una disposizione di diritto cantonale solo se questa non si presta a nessuna interpretazione conforme al diritto costituzionale (DTF 135 II 243 consid. 2 pag. 248). La semplice circostanza che, in singoli casi, possa essere applicata in modo lesivo della Costituzione non conduce al suo annullamento (DTF 134 I 293 consid. 2 pag. 295; 133 I 77 consid. 2 pag. 79). Se il chiaro tenore della norma in discussione non vi si oppone, il Tribunale federale può anche tenere conto delle spiegazioni formulate dalle autorità cantonali in merito alla futura applicazione della stessa (DTF 137 I 31 consid. 2 pag. 39 seg.; 129 I 12 consid. 3.2 pag. 15).  
 
3.   
 
3.1. Il presente ricorso pone essenzialmente la questione della conformità con la libertà sindacale dell'assoggettamento ad un regime restrittivo dell'uso, da parte dei sindacati, degli stabili che lo Stato, oltre ad esserne proprietario, amministra anche come datore di lavoro, in particolare per quanto attiene alla possibilità delle organizzazioni sindacali del personale dello Stato di accedere ai citati edifici per reclutare nuovi affiliati e distribuire volantini o altro materiale divulgativo.  
 
3.2. Il ricorrente sostiene che il regime instaurato dal provvedimento governativo e avallato dalla sentenza cantonale impugnata corrisponde ad un divieto di principio di accesso agli stabili governativi che, ancorché accompagnato dalla possibilità di ottenere un'autorizzazione per svolgervi riunioni di carattere sindacale e dalla possibilità di far affiggere materiale informativo, lede in maniera inammissibile una componente imprescindibile dell'esercizio della libertà sindacale sancita dall'art. 28 Cost. In sostanza, con tale sistema verrebbe ostacolata l'attività di reclutamento e d'informazione degli affiliati, ovvero l'insieme delle azioni preparatorie che - eventualmente anche in vista dell'esercizio, quale  ultima ratio, di un'azione di sciopero - permettono l'esercizio effettivo della libertà di coalizione. A suffragio delle proprie tesi, il ricorrente invoca altresì la prassi dei Tribunali tedeschi nonché quella dell'Organizzazione internazionale del lavoro (di seguito anche: ILO) in relazione alla Convenzione n. 87 concernente la libertà sindacale e la protezione del diritto sindacale del 9 luglio 1948 (Convenzione ILO n. 87; RS 0.822.719.7) e alla Convenzione n. 98 concernente l'applicazione dei principi del diritto sindacale e di negoziazione collettiva del 1° luglio 1949 (Convenzione ILO n. 98; RS 0.822.719.9), ratificate dal nostro Paese, precisando che queste - seppur non direttamente applicabili - dovrebbero nondimeno fungere da criterio interpretativo ed indurre questa Corte a riconoscere un analogo contenuto a tale libertà nel diritto svizzero.  
Occorre quindi innanzitutto chiarire la portata della garanzia costituzionale della libertà sindacale. 
 
4.  
 
4.1. L'art. 28 cpv. 1 Cost. garantisce la libertà sindacale, o libertà di coalizione (  Koalitionsfreiheit), che costituisce un caso speciale della libertà più generale d'associazione instaurata dall'art. 23 Cost. L'art. 28 cpv. 2 Cost. prevede che i conflitti vanno per quanto possibile composti in via negoziale o conciliativa. Secondo il capoverso 3 di questa disposizione, lo sciopero e la serrata sono leciti soltanto se si riferiscono ai rapporti di lavoro e non contrastano con impegni di preservare la pace del lavoro o di condurre trattative di conciliazione. La libertà di coalizione è essenzialmente un diritto di difesa (  Abwehrrecht) nei confronti dello Stato, ma esplica anche un certo effetto orizzontale indiretto (  indirekte Drittwirkung) sulle relazioni di lavoro nel settore privato (DTF 132 III 122 consid. 4.4.1 pag. 133 con rinvii dottrinali;  VALLENDER/HETTICH, op. cit., n. 14 e 27 ad art. 28;  PASCAL MAHON, in: Petit commentaire de la Constitution fédérale de la Confédération suisse du 18 avril 1999, 2003, n. 15 ad art. 28 Cost.;    GARRONE, op. cit., n. 35 pag. 805 seg.;  AUER/MALINVERNI/HOTTELIER, Droit constitutionnel suisse, vol. II, 3aed. 2013, pag. 728 n. 1654). La componente individuale della libertà sindacale conferisce al singolo il diritto di contribuire alla creazione di un sindacato, di affiliarsi o di partecipare alla sua attività (libertà sindacale positiva), nonché il diritto di non aderirvi o di uscirne (libertà sindacale negativa). Nelle attività tutelate rientrano tra l'altro, per quanto qui di rilievo, il contatto con altre persone inteso a perseguire la salvaguardia comune degli interessi nei confronti di controparti o dello Stato. Per quanto attiene invece alla componente collettiva della libertà sindacale, essa tutela il diritto dei sindacati di esercitare liberamente le loro attività e di coalizzarsi (vedasi Messaggio concernente la revisione della Costituzione federale del 20 novembre 1996, FF 1997 I 1 segg., segnatamente pag. 166 seg.). In questo contesto, sono in particolare contemplate l'acquisizione di nuovi membri, la cura delle relazioni con i membri esistenti, nonché tutte le attività suscettibili di mantenere operativa l'organizzazione e di perseguire i propri scopi (PATRICIA M. SCHIESS RÜTIMANN, in: Bundesverfassung - Basler Kommentar, 2015, pag. 577 seg. n. 11 e 12 ad art. 28).  
 
4.2. La libertà sindacale è garantita anche dall'art. 11 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950 (CEDU; RS 0.101), che sancisce la libertà di riunione e di associazione, facendo un esplicito riferimento al diritto di partecipare alla costituzione di sindacati e di aderire ad essi per la difesa dei propri interessi (art. 11 n. 1 seconda parte della frase CEDU). Vanno altresì menzionati l'art. 22 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 16 dicembre 1966 (Patto ONU II; RS 0.103.2) nonché, più specificamente, l'art. 8 del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali del 16 dicembre 1966 (Patto ONU I; RS 0.103.1). Infine le Convenzioni ILO n. 87 concernente la libertà sindacale e la protezione del diritto sindacale e n. 98 concernente l'applicazione dei principi del diritto sindacale e di negoziazione collettiva, ratificate dalla Svizzera la prima nel 1975 e la seconda nel 1999. In particolare, per quanto qui di rilievo, l'art. 3 Convenzione ILO n. 87 prevede che le organizzazioni di lavoratori e datori di lavoro hanno il diritto di elaborare i propri statuti e regolamenti amministrativi, di eleggere liberamente i propri rappresentanti, di organizzare la loro gestione e attività e di formulare il proprio programma d'azione (n. 1) e che le autorità pubbliche devono astenersi da qualsiasi intervento di natura tale da limitare tale diritto o da pregiudicarne l'esercizio legale (n. 2).  
 
4.3. Sulla questione specifica del diritto di accesso dei rappresentanti dei sindacati agli stabili di un'azienda, la dottrina non è unanime. Mentre VALLENDER/HETTICH (op. cit., ad art. 28) non si pronunciano espressamente sulla questione, SARAH WENGER (Zulässige Mittel im Arbeitskampf, in: Schriften zum schweizerischen Arbeitsrecht, 65/2007, pag. 72 seg.) ne ammette l'esistenza soltanto qualora nell'azienda in questione sia in vigore un contratto collettivo di lavoro che riconosce esplicitamente l'impegno delle parti sociali ad assicurare la libertà sindacale: in tal caso, quest'ultima acquisisce un effetto anche tra privati e implica pertanto anche la facoltà del sindacato di accedere al posto di lavoro per controllare il rispetto degli obblighi contenuti nel contratto collettivo. PATRICIA M. SCHIESS RÜTIMANN (op. cit., n. 19 ad art. 28) rileva poi che l'art. 28 cpv. 1 Cost. non indica a quali spazi i sindacati debbano poter accedere, ma che la libertà sindacale è violata se non viene loro dato accesso all'azienda per preparare un'azione collettiva e questi non dispongono di alternative per contattare altrimenti i lavoratori. Vi sono diversi autori che, per contro, ammettono che un diritto di accesso dei sindacati agli stabili del datore di lavoro sia direttamente deducibile dall'art. 28 Cost., a prescindere dall'esistenza di un contratto collettivo di lavoro o dalla presenza di uno sciopero in un caso concreto (si vedano ARTHUR ANDERMATT, Die Gewerkschaften dürfen in die Betriebe, in: Plädoyer 2004/5, pag. 42 segg., segnatamente pag. 44 seg.;  lo stesso, Liberté syndicale et droit de grève, in: Droit collectif du travail, 2010, pag. 21 seg. n. 38; KURT PÄRLI, Betriebliche Zutrittsrechte der Gewerkschaften aus Arbeitsrecht und Gesamtarbeitsvertrag, in: AJP/PJA 11/2014, pag. 1454 segg., segnatamente pag. 1462 e JEAN-BERNARD WAEBER, Droit de grève: exercice soumis à conditions, in: Plaidoyer 2006/6, pag. 69). A supporto delle loro posizioni, detti autori invocano il diritto internazionale, in particolare gli strumenti adottati dall'Organizzazione internazionale del lavoro in materia di libertà sindacale e la consolidata prassi dei relativi organi, i quali riconoscono anche una serie di "diritti derivati" considerati indispensabili per assicurare l'esercizio effettivo della libertà sindacale. Tra i suddetti diritti derivati, la dottrina citata rileva in particolare che l'accesso ai luoghi di lavoro è comunemente considerato parte integrante del diritto dei sindacati di organizzare liberamente le proprie attività, di formulare programmi di azione, di promuovere e difendere gli interessi dei propri membri, nonché di informare i lavoratori in merito ai vantaggi che un'adesione ai sindacati potrebbe procurare loro. D'altro canto viene sottolineato che la Convenzione ILO n. 135 relativa alla protezione dei rappresentanti dei lavoratori nell'azienda e alle agevolazioni che dovranno essere loro concesse del 23 giugno 1971, in relazione con la Raccomandazione ILO n. 143 concernente i rappresentanti dei lavoratori del 24 giugno 1971, prevede che ai rappresentanti dei lavoratori debbano essere accordate delle agevolazioni, in modo da permettere loro di svolgere rapidamente ed efficacemente le loro funzioni, senza ostacolare il buon funzionamento dell'azienda. I rappresentanti dovrebbero segnatamente avere accesso a tutti i luoghi di lavoro, quando tale accesso è necessario per permettere loro di adempiere le loro funzioni di rappresentanza sindacale. Questa convenzione non è stata ratificata dalla Svizzera, ma la dottrina rileva che gli organi di controllo dell'Organizzazione internazionale del lavoro e, in particolare, il suo Comitato della libertà sindacale e la Commissione di esperti per l'applicazione delle convenzioni e delle raccomandazioni (CEACR) deducono il diritto di accesso al luogo di lavoro dalle citate Convenzioni ILO n. 87 e 98 anche quando la Convenzione ILO n. 135 non sia stata ratificata (BEATRIZ VACOTTO, Droit d'accès des représentants syndicaux aux lieux de travail: un élément fondamental de la liberté syndicale, in: AJP/PJA 2014, pag. 1433 segg., nonché ARTHUR ANDERMATT, Die Gewerkschaften dürfen in die Betriebe, in: Plädoyer 2004/5, pag. 45 e lo stesso, Liberté syndicale et droit de grève, in: Droit collectif du travail, 2010, pag. 21 n. 37. Vedasi altresì BIT, La liberté syndicale, Recueil de décisions et de principes du Comité de la liberté syndicale du Conseil d'administration du BIT, 5aed. 2006, n. 1102 segg.).  
 
5.   
L'art. 28 Cost. garantisce quindi la libertà sindacale, senza però prevedere esplicitamente un diritto dei rappresentanti sindacali di accedere al luogo di lavoro in particolare quando, oltre ad essere il proprietario dei luoghi, lo Stato è anche il datore di lavoro. Questa Corte finora non si è pronunciata chiaramente sulla questione. Come avvenuto ad esempio per il principio della parità salariale tra uomo e donna nella funzione pubblica, che il Tribunale federale fece derivare dall'art. 4 vCost. (vedasi DTF 103 Ia 517 segg. nella causa Loup) prima che venisse iscritto nell'art. 4 cpv. 2 vCost., rispettivamente, dal 1999, nell'art. 8 cpv. 3 Cost., oppure per il diritto di sciopero, riconosciuto nella DTF 125 III 277 segg. e poi, dal 1999, iscritto nell'art. 28 cpv. 3 Cost., occorre pertanto definire in modo più preciso il contenuto e i limiti, in altri termini la portata, della citata libertà. 
 
5.1. Invero, nella sentenza 6B_758/2011 del 24 settembre 2012 la Corte di diritto penale è stata chiamata a stabilire se l'esercizio della libertà sindacale consacrata dall'art. 28 Cost. potesse costituire un atto permesso dalla legge ai sensi dell'art. 14 CP, suscettibile di giustificare una violazione di domicilio (ex art. 186 CP) da parte del sindacato che era entrato nella proprietà privata di una società per informare i dipendenti in relazione all'entrata in vigore di un nuovo contratto collettivo di lavoro nazionale. In quell'occasione, il Tribunale federale ha innanzitutto sottolineato che le Convenzioni ILO n. 87 e 98, ancorché ratificate dalla Svizzera, non erano direttamente applicabili e non potevano quindi essere direttamente invocate dai cittadini (cfr. sentenza 6B_758/2011 citata consid. 1.3.3, con riferimento alla sentenza 4C.422/2004 del 13 settembre 2005 consid. 3.3, non pubblicato in DTF 132 III 122 segg.). Esso ha poi negato che la libertà sindacale potesse esplicare un qualsivoglia effetto diretto e immediato nei confronti del proprietario di un'impresa privata, tale da far passare il suo diritto di proprietà in secondo piano (art. 26 Cost. e 641 CC). In questo contesto ha specificato che il diritto di accedere all'impresa del datore di lavoro non andava interpretato come una componente indispensabile della libertà sindacale consacrata all'art. 28 Cost., quanto meno all'infuori di uno sciopero lecito che potrebbe semmai giustificare quale  ultima ratio misure speciali di lotta sindacale (sentenza 6B_758/2011 citata consid. 1.3.2 e 1.3.4). Riguardo a quest'ultima conclusione, i giudici federali hanno fatto riferimento ad un'altra fattispecie nella quale la prima Corte di diritto civile aveva riconosciuto la liceità di un picchettaggio pacifico durante lo sciopero, tenendo conto dell'effetto orizzontale indiretto dell'art. 28 Cost. sulle relazioni di lavoro nel settore privato (DTF 132 III 122 consid. 4.5.4 pag. 137).  
 
5.2. Nella citata sentenza 6B_758/2011 l'applicazione congiunta degli art. 186 e 14 CP era sostanzialmente chiamata a dirimere un conflitto tra due libertà fondamentali, la garanzia della proprietà privata e la libertà sindacale. La Corte di diritto penale non ha affrontato in maniera sistematica l'eventuale esigenza di riconoscere un diritto di accesso direttamente sgorgante dalla libertà sindacale, ma si è limitata a far prevalere, in quel preciso contesto, la prima sulla seconda, affermando che il proprietario dell'impresa, che beneficia della garanzia costituzionale della proprietà, è libero di decidere a chi consentire l'accesso alla sua azienda (MICHEL HOTTELIER, Discussions d'arrêts actuels - Tribunal fédéral, Cour de droit pénal, 24.9.2012 (6B_758/2011), in: AJP/PJA 3/2013, pag. 450 segg., segnatamente pag. 454 e 457; GENEVIÈVE ORDOLLI, Utilisation d'Internet et de l'intranet par les syndicats et les représentants élus des travailleurs, in: Internet au travail, 2014, pag. 212). Si trattava nondimeno dell'apprezzamento di una situazione concreta, specifica, in relazione ad una condanna penale.  
 
5.3. Ora, invece, nella fattispecie concreta, l'accesso alla proprietà rivendicato come componente della libertà sindacale verte su un bene pubblico e non su un fondo privato. Non si tratta quindi di stabilire se esista un eventuale effetto orizzontale indiretto della libertà sindacale sui rapporti di lavoro nel settore privato (peraltro ammesso nella DTF 132 III 122 consid. 4.4.1 pag. 132) anche all'infuori di uno sciopero lecito e, quindi, se sia necessario modificare la giurisprudenza summenzionata. La questione dell'accesso dei rappresentanti sindacali alla proprietà privata può invero rimanere indecisa; ciò che occorre invece stabilire è se sia giustificato seguire la posizione adottata nella menzionata fattispecie dalla Corte di diritto penale anche nei rapporti di natura verticale, ovvero tra lo Stato datore di lavoro e nel contempo proprietario degli stabili governativi e il privato che ne chiede l'accesso. Va quindi in sostanza chiarito se l'art. 28 Cost. combinato con l'art. 35 cpv. 2 Cost., che impone a chi svolge un compito statale di rispettare i diritti fondamentali e contribuire ad attuarli, obblighi lo Stato, nella sua qualità di datore di lavoro nonché proprietario, anche a tenere in considerazione, nel quadro dell'organizzazione delle proprie attività e della messa a disposizione degli stabili amministrativi, gli interessi legittimi della vita associativa ed a creare così le condizioni tali da garantire l'esistenza, la libera organizzazione e lo svolgimento delle attività dei sindacati.  
 
5.3.1. La libertà sindacale, come definita in precedenza (consid. 4.1 e 4.2), costituisce sostanzialmente un diritto di difesa nei confronti dello Stato e impone a quest'ultimo - che deve rendere possibili le attività dei sindacati (SCHIESS RÜTIMANN, op. cit., n. 18 ad art. 28 in riferimento all'art. 11 CEDU) - di astenersi in particolare dall'adottare misure di diritto civile o penale suscettibili di ostacolare o rendere inesistente l'azione sindacale (NIGGLI/MAEDER, Hausverbote und gewerkschaftliche Tätigkeit, in: AJP/PJA 2014, pag. 1463 segg., segnatamente pag. 1465 con riferimento alla DTF 125 III 277 consid. 2c pag. 280 e dottrina ivi citata). Lo Stato non deve quindi, impedendo ai rappresentanti sindacali di accedere agli stabili amministrativi, rendere notevolmente più difficile, poiché la limita, tutta una serie di componenti essenziali della libertà sindacale, quale l'acquisizione di nuovi membri, la comunicazione tra i sindacati ed i propri affiliati (ad esempio in merito ai vantaggi di una trattativa sindacale collettiva o al contenuto di un contratto collettivo in vigore), la supervisione dell'applicazione di un contratto collettivo di lavoro in essere e infine la mobilizzazione dei lavoratori in vista di un eventuale sciopero (VACOTTO, op. cit., pag. 1440).  
 
5.3.2. Tali conclusioni sono intese ad assicurare che lo Stato metta i sindacati nella condizione di poter effettivamente organizzare liberamente le proprie attività e di promuovere e difendere effettivamente gli interessi dei propri membri. Esse si impongono a maggior ragione se si considera quanto segue. Secondo la giurisprudenza, il sindacato può invocare la libertà sindacale per rivendicare un diritto a partecipare a negoziazioni collettive o a concludere una convenzione collettiva con un datore di lavoro pubblico solo nella misura in cui possa essere riconosciuto come partner sociale. Ciò presuppone in particolare che esso sia sufficientemente rappresentativo (DTF 140 I 257 consid. 5.2.1 e 5.2.2 pag. 263 seg.) ovvero, in sintesi, che esso funga da portaparola di una minoranza e non sia costituito da membri isolati (DTF 140 I 257 consid. 6.1 pag. 265 con rinvio alla DTF 113 II 37 consid. 4c pag. 46 e alla dottrina). Ora, appare evidente che una sufficiente rappresentatività può essere costruita e mantenuta solo se è garantita la possibilità di avere un costante contatto con i membri esistenti, ma anche di trovare nuovi affiliati; in caso contrario, si tratterebbe di una mera libertà formale. Inoltre, il Tribunale federale ha anche riconosciuto che la libertà sindacale conferisce alle organizzazioni sindacali del servizio pubblico il diritto di essere sentite in modo adeguato in caso di modifiche di legge che toccano in maniera significativa le condizioni di lavoro dei loro affiliati (DTF 129 I 113 consid. 3 pag. 121 ove si trattava di una legge concernente lo statuto del personale). In questo contesto ha rilevato che, affinché i sindacati possano effettivamente esercitare nel settore pubblico il proprio diritto ad esprimersi in favore della difesa degli interessi dei propri affiliati, lo Stato, in qualità di datore di lavoro, deve garantire loro non solo l'esistenza, ma anche la necessaria autonomia nella sfera delle loro attività (DTF 129 I 113 consid. 5.3 pag. 127 con riferimento a DELLEY/MORAND, Rôle et statut constitutionnel des centrales syndicales en Suisse, in: Recueil des travaux suisses présentés au Xe Congrès international de droit comparé, 1979, pag. 175 segg., segnatamente pag. 187).  
 
5.3.3. Le considerazioni che precedono sono in linea anche con gli impegni derivanti dal diritto internazionale del lavoro ed in particolare dalle già citate Convenzioni ILO n. 87 e 98, ratificate dalla Svizzera (cfr. consid. 4.2), e vanno per di più nel senso delle ripetute richieste formulate dalla Commissione di esperti per l'applicazione delle convenzioni e delle raccomandazioni (CEACR), l'organo di controllo dell'Organizzazione internazionale del lavoro, con cui essa, in seguito tra l'altro a comunicazioni dell'Unione sindacale svizzera (SGB/USS), ha invitato il nostro Paese ad adottare le necessarie misure affinché venga garantito il rispetto del diritto di accesso dei sindacati ai luoghi di lavoro in conformità all'art. 3 Convenzione ILO n. 87 (vedasi "Demande directe [CEACR] - adoptée 2012, publiée 102ème session CIT [2013]" nonché le precedenti richieste in http://www.ilo.org/dyn/normlex/fr/f?p=1000:13101:0::NO:13101:P13101_COMMENT_ID:3084254, consultato nel settembre 2017; cfr. pure VACOTTO, op. cit., pag. 1433 segg., segnatamente pag. 1439 con riferimenti e rinvii alle pagine corrispondenti del sito internet dell'ILO).  
 
5.3.3.1. Al riguardo, va di seguito ricordato che alle Convenzioni ILO in materia di diritto del lavoro non viene genericamente riconosciuto carattere  self-executing, se non in alcuni casi specifici (sentenze 4C.422/2004 citata consid. 3.2.2 non pubblicato in DTF 132 III 122 e 6B_758/2011 citata consid. 1.3.3; NICOLAS VALTICOS, Les effets des Conventions internationales du travail en Suisse, in: Mélanges offerts à la SSJ, 1976, pag. 327 segg.; KAUFMANN/GOOD, Die Anwendbarkeit von ILO-Recht vor Schweizer Gerichten: Potenzial und Grenzen: Rechtsgutachten im Auftrag des Schweizerischen Gewerkschaftsbundes (SGB), in: AJP/PJA 5/2016, pag. 647 segg., segnatamente pag. 649). Non è necessario in questo frangente tornare sulla questione del carattere direttamente applicabile delle Convenzioni ILO interessate dall'oggetto della presente causa, poiché ad ogni modo l'assenza di un loro qualsivoglia carattere vincolante formale non esclude che il Tribunale federale possa farvi riferimento di propria iniziativa nella concretizzazione dell'art. 28 Cost. In effetti, numerosi diritti fondamentali del lavoro sanciti dagli strumenti dell'Organizzazione internazionale del lavoro tra cui, appunto, la Convenzione ILO n. 87, si sovrappongono parzialmente agli art. 11 CEDU e 22 Patto ONU II, il cui carattere  self-executingè stato riconosciuto dal Tribunale federale pur senza essere, nel loro tenore letterale, più precisi delle suddette Convenzioni ILO (DTF 129 I 113 consid. 3.2 pag. 122; 121 V 246 consid. 2c pag. 249; 120 Ia 1 consid. 5b pag. 11; KAUFMANN/GOOD, op. cit., pag. 664; VALLENDER/HETTICH, op. cit., n. 10 ad art. 28). Inoltre, la prassi del Comitato per la libertà sindacale e della Commissione di esperti per l'applicazione delle convenzioni e delle raccomandazioni (CEACR) fa parte del cosiddetto "  relevant nonconventional material" a cui anche la Corte europea dei diritti dell'uomo (CorteEDU) fa esplicito riferimento nella sua prassi di applicazione dell'art. 11 CEDU (NIGGLI/MAEDER, op. cit., pag. 1467). Essa rappresenta quindi una importante fonte di informazione per l'interpretazione delle convenzioni (in questo senso vedasi ad esempio KAUFMANN/GOOD, op. cit., pag. 656).  
 
5.3.3.2. Nel concreto caso, entra in particolare in considerazione l'art. 3 Convenzione ILO n. 87, che prevede (n. 2) che le autorità pubbliche devono astenersi da qualsiasi intervento di natura tale da limitare o pregiudicare alle organizzazioni di lavoratori, segnatamente l'esercizio del diritto di organizzare la loro gestione e attività e di formulare il proprio programma d'azione (n. 1). Tra l'altro, va rilevato di transenna che riguardo a simili doveri di astensione (i cosidetti  Unterlassungspflichten) contenuti in un trattato internazionale, il Consiglio federale, nel Messaggio dell'8 maggio 1974 concernente l'approvazione di due convenzioni internazionali sul lavoro (tra cui la Convenzione ILO n. 87), ha sottolineato che è generalmente ammesso che gli "obblighi di non procedere" sono direttamente applicabili nell'ordine giuridico interno degli Stati contraenti e non richiedono un intervento legislativo (FF 1974 1557 segg., segnatamente pag. 1580). Lo stesso orientamento è ravvisabile anche nella già citata DTF 129 I 113 consid. 5.3 pag. 127 (vedasi precedente consid. 5.3.2) ove il Tribunale federale ha riconosciuto l'esistenza di una sfera di autonomia del sindacato nei confronti del datore di lavoro pubblico e ha fondato il proprio ragionamento anche sull'art. 5 della Convenzione ILO n. 151 concernente la protezione del diritto d'associazione e le procedure di determinazione delle condizioni d'impiego nella funzione pubblica del 27 giugno 1978 (RS 0.822.725.1) che stabilisce che le organizzazioni d'agenti pubblici devono fruire di una completa autonomia nei confronti delle autorità pubbliche (n. 1), assumendo implicitamente il carattere  self-executing perlomeno di un simile dovere di astenersi dello Stato.  
 
5.4. Alla luce di queste considerazioni bisogna quindi ammettere che in principio, nel settore pubblico, il diritto dei rappresentanti sindacali di accedere agli stabili dello Stato, che è nel contempo datore di lavoro, per entrare in contatto con i propri affiliati e per curarne i rapporti, costituisce una componente essenziale della libertà sindacale collettiva ai sensi dell'art. 28 Cost., affinché ai sindacati sia garantita l'effettiva possibilità di esercitare tutte le attività suscettibili di mantenere operativa l'organizzazione e di perseguirne gli scopi.  
 
6.   
 
6.1. Come ogni altra libertà costituzionale, questo diritto di accesso non è tuttavia assoluto e le modalità della sua attuazione vanno concordate con il datore di lavoro pubblico. Detto diritto può subire delle restrizioni, che sono tuttavia ammissibili unicamente se fondate su una base legale, giustificate da un interesse pubblico e proporzionali (art. 36 Cost.). Prima di esaminare le censure di natura costituzionale sollevate dal ricorrente, occorre tuttavia qualificare giuridicamente le strutture dell'Amministrazione cantonale all'interno delle quali il ricorrente rivendica l'esercizio della libertà sindacale.  
 
6.2.  
 
6.2.1. Giurisprudenza e dottrina suddividono i beni pubblici in due categorie distinguendo da un lato il patrimonio fiscale o finanziario e, d'altro lato, i beni pubblici in senso stretto; di quest'ultima categoria fanno parte il patrimonio amministrativo e il demanio pubblico. Entrambi servono direttamente all'adempimento di compiti pubblici, ma si distinguono principalmente per la cerchia dei relativi utenti: compatibilmente con la propria destinazione, il demanio pubblico si presta ad un uso comune ed è a disposizione della collettività, mentre il patrimonio amministrativo è accessibile unicamente all'autorità e ai suoi dipendenti oppure ad una cerchia limitata di utenti in relazione a determinati servizi che vengono dispensati direttamente da singoli uffici (DTF 138 I 274 consid. 2.3.2 pag. 284; 127 I 84 consid. 4b pag. 88 seg., nonché sentenza 2C_735/2015 dell'11 novembre 2016 consid. 5; HÄFELIN/MÜLLER/UHLMANN, Allgemeines Verwaltungsrecht, 7aed. 2016, pag. 490 segg.; MARKUS HEER, Die ausserordentliche Nutzung des Verwaltungsvermögens durch Private: Unter Einschluss des Verwaltungsvermögens im Einzelgebrauch, 2006, pag. 8 segg.; TOBIAS JAAG, Gemeingebrauch und Sondernützung öffentlicher Sachen, in: ZBl 93/1992, pag. 151; ANDRÉ WERNER MOSER, Der öffentliche Grund und seine Benützung, 2011, pag. 5 segg, 18 segg, 34 segg; TSCHANNEN/ZIMMERLI/MÜLLER, Allgemeines Verwaltungsrecht, 4aed. 2014, pag. 467 segg.). Nel concreto caso, gli stabili dell'Amministrazione cantonale appartengono manifestamente al patrimonio amministrativo (DTF 138 I 274 consid. 2.3.2 pag. 284).  
Per principio, l'autorità che gestisce il patrimonio amministrativo accorda la priorità ad un suo uso ordinario (che avviene cioè nel contesto della normale attività amministrativa), rispetto ad un uso straordinario o accessorio (  ausserordentliche Nutzung rispettivamente  Randnutzung), ovvero ad un utilizzo temporaneo da parte di terzi per scopi estranei alla destinazione del bene (DTF 127 I 84 consid. 4b pag. 88 seg.; HEER, op. cit., pag. 15 segg.; HÄFELIN/MÜLLER/UHLMANN, op. cit., pag. 492 seg.). Quest'ultimo può entrare in considerazione solo se è compatibile con la destinazione della struttura in questione; l'entità incaricata di gestire il patrimonio amministrativo ha quindi in principio la facoltà di rifiutare che vi vengano svolte attività non conformi ad un uso ordinario o di limitarne l'estensione attraverso un sistema di autorizzazione o di concessione (DTF 143 I 37 consid. 6.1 pag. 40; sulla natura giuridica dell'atto della restrizione, che esula nondimeno dall'oggetto del presente litigio, cfr. HEER, op. cit., pag. 124 segg.).  
 
6.2.2. Nel concreto caso, i giudici cantonali hanno stabilito che l'attività svolta negli stabili amministrativi dalle organizzazioni sindacali del personale dello Stato (reclutamento di affiliati, distribuzione di materiale informativo, ecc.) costituiva un "uso speciale, soggetto ad autorizzazione (art. 10 della legge ticinese sul demanio pubblico del 18 marzo 1986 [LDP; RL/TI 9.4.1.1]) " e che "il Consiglio di Stato (...) può di principio stabilire concretamente i limiti e le modalità di tale uso rispettivamente d'accesso" (cfr. sentenza impugnata, consid. 7.2 pag. 11 seg.). Tale apprezzamento non è stato contestato dal ricorrente e non occorre quindi entrare nel merito. È tuttavia necessario esaminare se le modalità con le quali il Consiglio di Stato ha inteso disciplinarne l'uso non ledano i diritti costituzionali invocati nel ricorso ed in particolare il diritto di accesso al posto di lavoro pubblico quale componente della libertà sindacale, come definito in precedenza (consid. 5).  
 
6.3. Lo Stato è infatti vincolato al rispetto dei diritti fondamentali in virtù dell'art. 35 cpv. 2 Cost., oltre che in qualità di datore di lavoro, anche quando si determina in merito all'uso del proprio patrimonio amministrativo. Pur disponendo di un certo margine di apprezzamento nella gestione dei propri stabili, l'Amministrazione deve prestare attenzione alla garanzia della parità di trattamento (segnatamente dei sindacati richiedenti: DTF 129 I 113 consid. 5 pag. 125 seg.) e al divieto dell'arbitrio; è altresì tenuta a prendere in considerazione il contenuto ideale delle libertà fondamentali che entrano in gioco (DTF 127 I 164 consid. 3b pag. 168 seg.; 124 I 267 consid. 3a pag. 268 seg.; 107 Ia 64 consid. 2a pag. 67) ed ha il dovere di mantenere una condotta neutra e oggettiva (sentenza 2C_735/2015 citata consid. 6.1, con riferimento alla DTF 140 I 201 consid. 6.4.1. pag. 208 e 138 I 274 consid. 2.2.2 pag. 283).  
L'esercizio di alcune libertà fondamentali, come ad esempio la libertà di opinione e di riunione, richiede spesso l'uso di beni pubblici; ciò vale anche, come nel concreto caso, per l'esercizio di alcune componenti della libertà sindacale. In questo contesto ed in relazione a manifestazioni sul suolo pubblico o dimostrazioni, l'originaria natura puramente difensiva di tali diritti ha progressivamente lasciato spazio anche al riconoscimento di una loro portata positiva che implica anche un elemento di prestazione (cosiddetto  Leistungselement vedasi DTF 127 I 164 consid. 3b pag. 168). Il Tribunale federale ha infatti stabilito che, nella misura in cui l'esercizio di una libertà fondamentale implichi un utilizzo del bene pubblico che non esula dallo scopo generale cui questo è destinato, esiste un diritto incondizionato all'uso di tale bene - fatte salve eventuali restrizioni ammissibili unicamente se fondate su una base legale, giustificate da un interesse pubblico e proporzionali (art. 36 Cost.) - e che tale utilizzo è lecito. Vi sono peraltro libertà fondamentali in relazione alle quali già la semplice instaurazione di un regime di autorizzazione è suscettibile di configurarne una restrizione. Occorre quindi che esso sia giustificato da un interesse pubblico o dalla protezione dei diritti fondamentali di terzi (DTF 135 I 302 consid. 3.2 pag. 307 e consid. 4.2 pag. 311, con rinvii alla dottrina segnatamente BEATRICE WEBER-DÜRLER, Grundrechtseingriffe, in: Die neue Bundesverfassung, 2000, pag. 135 segg.; MÜLLER/SCHEFER, Grundrechte in der Schweiz: im Rahmen der Bundesverfassung, der EMRK und der UNO-Pakte, 4aed. 2008, pag. 427 segg.; AUER/MALINVERNI/HOTTELIER, Droit constitutionnel suisse, vol. II, 3aed. 2013, n. 690 segg.; vedasi anche DTF 96 I 219 consid. 5 pag. 225). Se per contro si tratta di un uso più intensivo, la giurisprudenza ha riconosciuto un diritto condizionale soggettivo ad ottenere un'autorizzazione per l'uso accresciuto dello stesso, quando tale autorizzazione si riveli indispensabile per l'esercizio delle libertà fondamentali sul suolo pubblico (DTF 138 I 274 consid. 2.2.2 pag. 282; 135 I 302 consid. 3.2 pag. 308; 132 I 256 consid. 3 pag. 259; 127 I 84 consid. 4b pag. 88). Riferita in un primo tempo al demanio pubblico, tale giurisprudenza è poi stata estesa anche al patrimonio amministrativo, riconoscendo che, a determinate condizioni, può esistere un diritto all'autorizzazione di un suo uso straordinario o accessorio (DTF 138 I 274 consid. 2.2.2 pag. 282 con riferimento alla sentenza P.170/1978 del 19 marzo 1980, il cui considerando 3 è ugualmente citato nella sentenza 1P.304/1990 del 18 febbraio 1991 consid. 3 pubblicata in: ZBl 93/1992 pag. 40 segg., nonché alla decisione del 7 dicembre 1992 del Consiglio di Stato del Canton Zugo, in: ZBl 94/1993 pag. 320 segg., con nota della redazione a pag. 323; cfr. altresì DTF 127 I 164 consid. 3b pag. 168 segg. segnatamente pag. 170). Tale diritto è tuttavia condizionato, nel senso che non permette di esigere che lo Stato crei (positivamente) nuove strutture al fine di consentire l'esercizio della libertà in questione (cfr. GIOVANNI BIAGGINI, Bundesverfassung der Schweizerischen Eidgenossenschaft, Kommentar, 2007, n. 4 ad art. 16). Esso si estende quindi unicamente all'uso dei beni pubblici o delle infrastrutture esistenti e disponibili al momento. Per il resto, l'ordinamento giuridico non riconosce alcun diritto di fare uso del demanio pubblico in un luogo e in un momento qualsiasi, secondo modalità stabilite unilateralmente; decisiva è, come detto, la sufficiente disponibilità (DTF 138 I 274 consid. 2.2.2 pag. 282; 127 I 164 consid. 3c pag. 171).  
 
6.4. La regolamentazione impugnata instaura un divieto di principio di accesso agli stabili amministrativi da parte dei sindacati (dispositivo n. 1), prevedendo poi la possibilità di concedere, previa richiesta, l'uso di sale riunioni dell'Amministrazione cantonale per incontri di carattere sindacale con personale dello Stato affiliato, su temi specifici dei rapporti di lavoro, da tenersi al di fuori dei normali orari di lavoro (dispositivo n. 2); essa assoggetta infine a specifiche modalità la distribuzione di materiale informativo ai dipendenti dello Stato all'interno degli stabili (dispositivo n. 3). Questo regime configura indubbiamente una limitazione che lo Stato, nella sua qualità di proprietario degli stabili e di datore di lavoro, pone alla libertà dei sindacati di avere accesso alle imprese, di organizzarvi le proprie attività e di intrattenere relazioni con tutti i dipendenti statali, inclusi coloro che non sono affiliati al sindacato. Occorre quindi esaminare se essa sia motivata da un interesse pubblico pertinente e preponderante e sia proporzionale (art. 36 Cost.).  
 
6.4.1. A mente dei giudici cantonali, nel suo risultato, il sistema instaurato equivale ad un regime di autorizzazione per l'uso speciale degli stabili amministrativi, ed è quindi ammissibile. La sentenza impugnata parte dal presupposto secondo cui il diritto di accesso agli stabili pubblici non costituisce - al di fuori del contesto di uno sciopero lecito - una prerogativa indispensabile della libertà sindacale e, di riflesso, non conferisce nemmeno un diritto condizionato ad un loro uso speciale. Ad ogni modo, il diniego di un'autorizzazione generale per accedere in modo libero e indiscriminato a qualsiasi stabile pubblico procederebbe da una corretta ponderazione degli interessi, che tiene anche conto delle diverse libertà costituzionali; esso sarebbe sorretto dall'interesse pubblico ad un regolare svolgimento dell'attività amministrativa. In particolare, il Tribunale cantonale amministrativo ha osservato che il Consiglio di Stato ticinese ha voluto disciplinare l'accesso agli stabili per attività di natura sindacale al fine di assicurare prioritariamente la normale attività quotidiana del personale dell'Amministrazione cantonale, nonché la necessaria discrezione e confidenzialità in relazione a dati e documenti sensibili presenti negli uffici, che un accesso illimitato non potrebbe garantire. Inoltre, ha inteso tutelare anche la stessa libertà di opinione di coloro che non intendono aderire al sindacato o ricevere informazioni da esso. I giudici cantonali hanno quindi considerato che tale volontà di garantire ordine, qualità ed efficienza dei propri servizi costituisce senza dubbio un interesse pubblico pertinente, suscettibile di giustificare l'instaurazione di un sistema di autorizzazione. Questa posizione può essere condivisa. Il ricorrente non ha peraltro contestato l'esistenza di un interesse in tal senso, o comunque l'argomentazione da lui sollevata al riguardo non soddisfa le esigenze di motivazione poste dall'art. 42 cpv. 2 LTF.  
 
6.4.2.  
 
6.4.2.1. Secondo il ricorrente questo divieto di massima non è tuttavia proporzionale e limita in maniera inammissibile la libertà sindacale, pregiudicando anche tutte le azioni preparatorie all'esercizio del diritto di sciopero quale  ultima ratio. A suo dire, i medesimi obiettivi perseguiti dal Governo avrebbero potuto essere raggiunti mediante provvedimenti alternativi e meno limitativi della libertà sindacale, quali ad esempio: l'imposizione alle organizzazioni sindacali di un obbligo di preannunciare con anticipo le visite; la limitazione del numero di visite per anno o della durata stessa di ogni singola visita o ancora del numero di rappresentanti sindacali autorizzati ad accedere ad ogni visita; infine, la consegna di un badge ad ogni rappresentante sindacale per garantirne l'identificazione e assicurare che egli si annunci al suo arrivo. Da parte loro i giudici cantonali hanno invece considerato che il sistema contestato rispetta il principio della proporzionalità poiché contempera adeguatamente le esigenze di informazione degli affiliati ai sindacati con la necessità di mantenere l'ordine all'interno degli stabili amministrativi: da un lato, infatti, non esclude la possibilità, previa richiesta, di usufruire di sale riunioni per incontri di carattere sindacale e, d'altro lato, non impedisce comunque ai sindacati di contattare i dipendenti al di fuori degli stabili amministrativi o mediante mezzi di comunicazione meno invasivi, quali ad esempio la posta elettronica.  
 
6.4.2.2. Quest'ultima opinione, per i motivi esposti di seguito, non può essere condivisa. Il regime instaurato nel suo insieme dal provvedimento impugnato configura infatti una restrizione grave della libertà sindacale. Esso è indubbiamente giustificato da un interesse pubblico (cfr. consid. 6.4.1), ma non è proporzionale e non accorda allo Stato il margine necessario per tenere adeguatamente in considerazione ulteriori interessi. In particolare, da un lato non tiene conto della portata della libertà sindacale garantita dall'art. 28 Cost., che in questo contesto, come visto in precedenza (in particolare, consid. 5.3), esige che il datore di lavoro pubblico si astenga dall'adottare delle misure suscettibili di ostacolare o rendere inesistente l'azione sindacale. È vero che il divieto generale di accesso sancito dal dispositivo n. 1 del provvedimento impugnato è combinato con la possibilità di chiedere un'autorizzazione alla Cancelleria dello Stato e che in tale frangente l'autorità potrebbe procedere ad un bilanciamento degli interessi, tenendo in considerazione anche quelli legittimi dei sindacati di mantenere o creare i contatti con i dipendenti statali. Tuttavia, le possibilità di ottenere un'autorizzazione in deroga a tale divieto, e le condizioni della stessa, sono eccessivamente restrittive. In effetti, la risoluzione governativa delimita a priori le persone e l'oggetto degli incontri specificando che deve trattarsi di  "incontri di carattere sindacale con personale dello Stato affiliato [...] su temi specifici dei rapporti di lavoro", il che oltre ad obbligare il sindacato di giustificare ogni volta l'oggetto specifico della richiesta di autorizzazione, svuota largamente del suo senso il diritto di accesso, in quanto non permette ai sindacalisti di mettersi in contatto con persone non aderenti al sindacato. Secondariamente, ammesso che vengano autorizzati, gli incontri possono svolgersi solo in sale di riunione prestabilite e solo al di fuori degli orari di lavoro. A queste condizioni, è pregiudicata - o comunque notevolmente ostacolata - la possibilità per i rappresentanti sindacali di svolgere tutte le attività suscettibili di mantenere operativa l'organizzazione e di perseguire i propri scopi, come ad esempio entrare in contatto in maniera informale e spontanea con nuovi potenziali aderenti oppure mantenere un dialogo discreto o anche solo un rapporto costante di cortesia con i propri membri, i quali sono costretti ad esporsi con i propri superiori se intendono partecipare ad un incontro. Infine, anche il fatto di limitare l'esposizione del materiale divulgativo a luoghi prestabiliti previa consegna ai servizi amministrativi competenti preclude la possibilità di mantenere contatti diretti con gli affilati e di fornire loro, se necessario, brevi spiegazioni rispetto al materiale distribuito; ammesso che tale misura sia effettivamente sorretta da un interesse pubblico, anch'essa appare eccessivamente restrittiva degli interessi del ricorrente, nella misura in cui, escludendo per di più la presenza fisica dei sindacalisti, svuota ancora una volta del suo senso il diritto di accesso, ed appare quindi non proporzionale (si veda al riguardo anche la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 27 settembre 2011 nella causa  Sisman e al. contro Turchia, richiesta n. 1305/05, N 29 segg.).  
 
6.4.3. Stante quanto precede, occorre concludere che il regime instaurato dalla risoluzione governativa e tutelato dalla sentenza impugnata non rispetta il principio della proporzionalità e configura un'ingerenza eccessiva nella libertà sindacale. Ciò non significa che il Cantone non possa in futuro disciplinare - attraverso un regolamento o una decisione generale - le modalità di accesso dei rappresentanti sindacali agli stabili amministrativi, al fine di bilanciare tutti gli interessi in causa. In tale contesto occorre comunque rammentare che è auspicabile che i sindacati e l'Amministrazione e/o i servizi interessati cerchino dapprima di raggiungere un accordo volto a permettere l'esercizio del diritto di accesso agli stabili pubblici secondo modalità che garantiscono nel contempo il buon funzionamento dell'attività amministrativa e delle istituzioni pubbliche, in particolare per quanto concerne i servizi che operano a contatto con l'utenza: a livello internazionale, ad esempio, il Comitato per la libertà sindacale dell'Organizzazione internazionale del lavoro ha più volte invitato sindacati e datori di lavoro a cercare di giungere a degli accordi che salvaguardino un giusto equilibrio tra questi due elementi (BIT, Recueil de décisions et de principes du Comité de la liberté syndicale du Conseil d'administration du BIT, 5aed. 2006, n. 1109), la negoziazione di buona fede essendo considerata il metodo da privilegiare a tal fine (VACOTTO, op. cit., pag. 1437 in fine). Nondimeno, nell'ipotesi in cui non fosse possibile trovare un'intesa, il Cantone potrebbe, come accennato, regolamentare le condizioni di accesso agli stabili pubblici da parte dei sindacati, ad esempio prevedendo l'esigenza di preannunciare le visite con un adeguato anticipo o di ottenere un'autorizzazione per potere organizzare una riunione in un locale (senza tuttavia delimitare l'oggetto della stessa e la cerchia delle persone autorizzate a prendervi parte), o ancora istituendo delle limitazioni in termini di orario o di numero di visite annuali, nonché eventuali ulteriori provvedimenti (indicati dagli stessi ricorrenti), tutti intesi a garantire, da un lato, i contatti personali tra i sindacalisti e gli impiegati statali, siano essi affiliati o meno al sindacato, e, dall'altro, l'ordinaria gestione degli affari dell'Amministrazione cantonale, la confidenzialità di informazioni riservate, nonché le legittime esigenze dei dipendenti che non desiderano ricevere visite o informazioni dai sindacati. Non dovrà tuttavia trattarsi di un divieto di principio ancorché assortito di possibili deroghe, e nemmeno di un sistema di autorizzazione assoggettato a presupposti che rendano l'accesso dei rappresentanti sindacali eccessivamente difficoltoso.  
 
7.   
Da quanto precede discende che il ricorso si rivela fondato e come tale dev'essere accolto, senza che occorra esprimersi sulle ulteriori censure sollevate dal ricorrente in merito ad un'eventuale violazione della libertà di opinione e di informazione garantita dagli art. 16 Cost. e 10 CEDU. 
La decisione del Tribunale cantonale amministrativo che conferma il provvedimento governativo va pertanto annullata e riformata nel senso che la risoluzione 29 novembre/21 dicembre 2011 del Consiglio di Stato è a sua volta annullata. 
 
8.  
 
8.1.   
Soccombente, lo Stato del Cantone Ticino è dispensato dal pagamento delle spese giudiziarie (art. 66 cpv. 4 LTF). Esso dovrà però corrispondere al ricorrente un'indennità a titolo di ripetibili della sede federale (art. 68 cpv. 1 e 2 LTF). 
 
8.2. Da parte sua, il Tribunale amministrativo dovrà nuovamente esprimersi sulle spese e sulle ripetibili della sede cantonale (art. 68 cpv. 5 e art. 107 cpv. 2 LTF; sentenza 2C_173/2011 del 24 giugno 2011 consid. 6.2).  
 
 
 Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:  
 
1.   
ll ricorso è accolto. La sentenza del 23 aprile 2015 del Tribunale cantonale amministrativo è annullata e riformata nel senso che la risoluzione 29 novembre/21 dicembre 2011 del Consiglio di Stato è a sua volta annullata. 
 
2.   
Non si prelevano spese giudiziarie. 
 
3.   
Lo Stato del Cantone Ticino verserà al ricorrente un'indennità di fr. 3'000.-- per ripetibili della sede federale. 
 
4.   
La causa è nel contempo rinviata al Tribunale cantonale amministrativo per nuova decisione sulle spese e sulle ripetibili per la sede cantonale. 
 
5.   
Comunicazione al patrocinatore del ricorrente, al Consiglio di Stato e al Tribunale amministrativo del Cantone Ticino. 
 
 
Losanna, 6 settembre 2017 
 
 
In nome della II Corte di diritto pubblico 
del Tribunale federale svizzero 
 
Il Presidente: Seiler 
 
La Cancelliera: Ieronimo Perroud