Intestazione
116 Ia 14
3. Estratto della sentenza 15 febbraio 1990 della I Corte di diritto pubblico nelle cause A. Baragiola contro il presidente e i membri della Corte delle Assise criminali di Lugano, Corte delle Assise criminali di Lugano ad hoc e Camera dei ricorsi penali del Tribunale di appello del Cantone Ticino (ricorsi di diritto pubblico)
Regesto
Art. 4 e 58 Cost.;
art. 6 n. 1 e 2 CEDU; ricusa di un'intera corte d'assise; influsso dei mezzi d'informazione sui membri della corte giudicante.
1. Cognizione del Tribunale federale (consid. 3).
2. Portata della garanzia del giudice costituzionale, in particolare di un giudice imparziale, obiettivo e senza pregiudizi secondo gli art. 58 cpv. 1 Cost. e 6 n. 1 CEDU. Concetto di imparzialità: valutazione oggettiva e soggettiva. Carattere eccezionale della ricusa (consid. 4).
3. Inidoneità, ai fini dell'art. 58 Cost., dei provvedimenti procedurali come tali, indipendentemente dalla loro esattezza, a fondare il dubbio oggettivo della prevenzione del giudice che li ha adottati (consid. 5a a d).
4. Conferma della giurisprudenza secondo cui affermazioni umoristiche non bastano a fondare un dubbio di parzialità e nemmeno a configurare una lesione del principio della presunzione d'innocenza codificata dalla CEDU (consid. 6).
5. Problema del possibile influsso di virulente campagne di stampa sull'imparzialità dei giudici e di conseguenza sull'equità del processo. I giudici popolari rappresentano la categoria maggiormente sottoposta al rischio di subire l'influenza dei mezzi d'informazione sfavorevoli a un imputato o a un accusato. Ruolo dell'opinione pubblica, degli organi d'informazione statali e di interventi politici. Possibile adozione d'ufficio di misure positive (consid. 7b).
6. L'accesso ai mezzi d'informazione non basta per influenzare i membri di un tribunale e mettere in dubbio la loro indipendenza e la loro obiettività. Mancanza nel caso concreto di segnali oggettivi atti a destare il dubbio che i singoli giudici (togati e popolari) possano essere stati influenzati da una campagna informativa che, sebbene spesso molto intensa, non ha mai confinato con l'unilateralità e non è stata tale da poter essere considerata sistematicamente volta all'ottenimento della colpevolezza dell'imputato. Particolare connotazione politica della vicenda (consid. 7c).
7. Importanza del giuramento e della promessa solenne deferiti dal presidente agli assessori giurati subito dopo la costituzione della corte d'assise (consid. 7c).
8. Invito - rivolto ai mezzi d'informazione - al rispetto della presunzione d'innocenza anche prima dell'inizio dei dibattimenti (consid. 7d).
Il 9 ottobre 1989 si è aperto davanti alla Corte delle Assise criminali di Lugano il pubblico dibattimento nel processo penale contro Alvaro Baragiola, prevenuto colpevole di tentato assassinio, assassinio e ripetuta tentata rapina. La corte, costituitasi lo stesso giorno, era presieduta dal vicepresidente della Camera
BGE 116 Ia 14 S. 17
criminale del Tribunale di appello del Cantone Ticino e composta di due giudici, cinque assessori giurati e due loro supplenti. Il pubblico dibattimento è stato sospeso il 13 ottobre 1989 a seguito della presentazione da parte dell'imputato di un'istanza di ricusa concernente l'intera corte.
Lo stesso giorno il vicepresidente del Tribunale di appello ha designato una Corte delle Assise criminali ad hoc, incaricata di statuire sull'istanza di ricusa rivolta contro i giudici, i giurati e i supplenti della corte contestata; l'istanza tendente alla ricusa della presidente è stata sottoposta al giudizio della Camera dei ricorsi penali del Tribunale di appello.
In sede cantonale l'imputato - il quale, già condannato in Italia per diversi reati come membro di un'organizzazione terroristica, aveva da poco ottenuto la nazionalità elvetica e il cambiamento di nome - ha fondato la domanda di ricusa in primo luogo sull'influsso, considerato negativo, esercitato dai mezzi d'informazione sull'opinione pubblica e di riflesso sui membri della corte, in modo particolare sui giurati. Ha poi criticato il contegno assunto durante il dibattimento dalla presidente, a cui ha rimproverato di avere commesso una serie di inesattezze procedurali.
Avendo la Corte delle Assise criminali ad hoc e la Camera dei ricorsi penali respinto le rispettive istanze di ricusa, il 6 novembre 1989 la Corte delle Assise criminali di Lugano ha pronunciato - nella sua composizione iniziale - la condanna di Alvaro Baragiola alla pena della reclusione perpetua per i reati di assassinio e tentata rapina.
Con atti separati il condannato ha presentato al Tribunale federale ricorso di diritto pubblico contro i giudizi - di cui postula l'annullamento - emessi dalla Corte delle Assise criminali ad hoc di Lugano e dalla Camera dei ricorsi penali del Tribunale di appello; lamenta una presunta violazione degli
art. 4 e 58 Cost. e 6 n. 1 e 2 CEDU.
Dai considerandi:
3.
Adito con un ricorso fondato sulla violazione della garanzia del giudice naturale, il Tribunale federale controlla l'interpretazione e l'applicazione del diritto cantonale dal ristretto profilo dell'arbitrio; esamina invece liberamente se l'interpretazione non arbitraria delle norme del diritto cantonale di procedura è conforme alle esigenze poste dagli
art. 58 cpv. 1 Cost. e 6 n. 1 CEDU (
DTF 114 Ia 52
consid. 2b e richiami).
BGE 116 Ia 14 S. 18
Nel caso all'esame, dove l'istante non contesta tanto l'interpretazione e l'applicazione del diritto di procedura ticinese, ma si concentra piuttosto sulla violazione della garanzia del giudice costituzionale, indipendente e imparziale, l'esame dei ricorsi di diritto pubblico dev'essere effettuato unicamente sotto il profilo degli
art. 58 cpv. 1 Cost. e 6 n. 1 CEDU. Ciò vale anche per la presunta violazione dell'
art. 4 Cost., censura che, nel modo in cui è stata sollevata, non assume portata propria (
DTF 115 Ia 36
consid. 2a,
DTF 114 Ia 52
consid. 2b). Pure il riferimento all'
art. 6 n. 2 CEDU, norma citata dal ricorrente a suffragio della tesi sul concetto di parzialità sviluppata nei suoi gravami, non ha carattere indipendente e può essere vagliato nell'ottica dell'
art. 6 n. 1 CEDU.
4.
In materia penale, l'organizzazione dei tribunali, la procedura giudiziaria e l'amministrazione della giustizia competono ai cantoni (
art. 64bis cpv. 2 Cost.) e non sono sorrette da norme specifiche della Costituzione federale. Tuttavia, certe garanzie processuali minime, come il diritto dell'accusato di sottoporre il suo caso a un tribunale indipendente e imparziale, sono direttamente deducibili dagli
art. 58 Cost. e 6 CEDU (
DTF 112 Ia 292
consid. 3 con richiami).
L'
art. 6 n. 1 CEDU riconosce tra l'altro all'accusato il diritto di comparire davanti a un tribunale indipendente e imparziale costituito per legge. Questa garanzia ha la stessa portata di quella conferita dall'
art. 58 cpv. 1 Cost. (
DTF 114 Ia 53
consid. 3a,
DTF 113 Ia 416
consid. 2a e rimandi,
DTF 112 Ia 86
). Lo scopo del diritto a un giudice indipendente e imparziale è quello di vietare l'influsso sul giudizio di circostanze estranee al processo, atte a privare la decisione della necessaria oggettività, a favore o a pregiudizio di una parte: a chiunque sia sottoposto a influenze di tal genere non può più essere riconosciuta la qualità di "giusto mediatore" (
DTF 114 Ia 54
e riferimenti). Questa garanzia è tutelata in primo luogo dalle regole cantonali sulla ricusa. Indipendentemente dai precetti del diritto cantonale, la Costituzione federale e la Convenzione europea dei diritti dell'uomo assicurano comunque a ciascuno il diritto di sottoporre la propria causa a giudici non prevenuti, ossia a delle persone in grado di fornire la certezza di un apprezzamento libero e imparziale. Sebbene la semplice affermazione della parzialità basata sui sentimento soggettivi di una parte non sia sufficiente per fondare un dubbio legittimo, non occorre che il giudice sia effettivamente prevenuto: bastano circostanze obiettivamente
BGE 116 Ia 14 S. 19
idonee a suscitare l'apparenza di una prevenzione e a far sorgere un rischio di parzialità per giustificare la sua ricusazione (
DTF 115 Ia 16
seg., 175 consid. 3). Per costante giurisprudenza l'imparzialità si deve valutare sia secondo un processo soggettivo, al fine di determinare il pensiero interiore di un giudice in una specifica situazione, sia secondo un procedimento oggettivo, che consiste nel ricercare se il giudice offriva le necessarie garanzie per escludere ogni legittimo dubbio in tal senso. Sotto questo profilo occorre considerare anche aspetti di carattere funzionale e organizzativo, mettendo l'accento sull'importanza che possono rivestire le apparenze stesse. Un giudice di cui si può legittimamente sospettare la mancanza d'indipendenza e imparzialità è costretto a rinunciare alla sua carica per non mettere in pericolo la credibilità dei tribunali di una società democratica, motivo per cui l'interpretazione e l'applicazione restrittiva degli
art. 58 Cost. e 6 n. 1 CEDU non può prevalere (si rimanda alla giurisprudenza e alla dottrina - con riferimento anche alla prassi della Corte europea dei diritti dell'uomo - citata in
DTF 114 Ia 53
segg. consid. 3b e c e in
DTF 112 Ia 292
segg. consid. 3a e b). D'altro canto la ricusa di un giudice contrasta in un certo senso il diritto al giudice naturale. Pertanto, al fine di impedire che le regole sulla procedura giudiziaria siano private del loro contenuto, è necessario che questo mezzo conservi il suo carattere eccezionale (
DTF 115 Ia 175
seg. e rimandi). Sarebbe assurdo considerare idonei a fondare il dubbio di parzialità tutti gli influssi a cui quotidianamente è sottoposto un giudice (
DTF 105 Ia 163
). Neppure si dimentichi che l'
art. 58 cpv. 1 Cost. è stato adottato in un periodo politicamente molto movimentato proprio per garantire al cittadino il regolare andamento delle istituzioni giudiziarie (
DTF 105 Ia 165
e riferimento).
5.
a) A parere del ricorrente, la parzialità dell'intera corte, presidente compreso, sarebbe in primo luogo deducibile dal modo illegale con cui categoricamente sono state respinte le richieste processuali formulate dai difensori, vertenti sul rispetto del principio della pubblicità del dibattimento e su quello del principio del diritto dell'imputato ad essere presente al dibattimento e a partecipare personalmente all'assunzione dei mezzi di prova, sull'ammissibilità dei mezzi di prova dell'accusa e la compatibilità con l'ordine pubblico svizzero di dichiarazioni di coimputati beneficiari di parziale impunità, su presunte irregolarità riscontrate nelle citazioni dei testimoni proposti dalla difesa - che avrebbero impedito la comparsa al dibattimento degli stessi - come pure sul rifiuto di alcune
BGE 116 Ia 14 S. 20
testimonianze. Senza tenere in considerazione le istanze del collegio di difesa, la corte avrebbe fatto uso, durante l'interrogatorio dell'imputato, di deposizioni di persone non ancora comparse al dibattimento, avrebbe interrogato come testimoni sia periti del precedente processo italiano, assumendo agli atti i loro referti, sia quattro membri degli organi inquirenti, a cui sarebbe stato chiesto di riferire su circostanze non contenute nei verbali da loro allestiti, e inoltre, per interrogare l'imputato, sarebbe ricorsa ai giudizi italiani e ai verbali ancora privi di conferma.
b) La prassi del Tribunale federale nega ai provvedimenti procedurali come tali, indipendentemente dalla loro giustezza, l'idoneità a fondare il dubbio oggettivo della prevenzione del giudice che li ha adottati (
DTF 111 Ia 264
consid. 3b/aa e riferimenti). Critiche inerenti a comuni scorrettezze di procedura devono seguire il normale corso d'impugnazione e sono di regola inadatte a fondare una lesione dell'
art. 58 Cost. (
DTF 113 Ia 409
seg.). Questa differenza appare giustificata dal fatto che il ricorso per presunta violazione della garanzia del giudice costituzionale non presuppone l'esaurimento dei rimedi del diritto cantonale (
art. 86 cpv. 2 OG). Nella misura in cui il ricorrente fonda la critica di prevenzione della presidente e di tutti i membri della corte - senza alcuna eccezione - sulla lesione di norme del diritto procedurale ticinese, mancano motivi oggettivi per ammettere qualsiasi apparenza di prevenzione. Nella fattispecie non traspaiono elementi che permettano di scostarsi da questa regola.
c) Altro motivo citato a suffragio della tesi sulla supposta prevenzione della presidente, il consiglio dato da questa al collegio di difesa circa le possibili conseguenze previste dall'
art. 131 cpv. 2 CPP di un atteggiamento di silenzio da parte dell'imputato. Vero è che la norma secondo cui, "qualora l'imputato ricusi di rispondere o in generale o a determinate domande, il giudice lo avverte semplicemente che il suo silenzio potrà essere interpretato contro di lui", più non regge davanti ai principi deducibili dalla Costituzione federale ed è in aperto contrasto con l'
art. 6 n. 2 CEDU (HAUSER, Kurzlehrbuch des schweizerischen Strafprozessrechts, II ediz., pag. 167; SCHMID, Strafprozessrecht, pag. 81 n. 292; RUSCA, La procedura penale ticinese alla luce della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, Rep. 1984, pag. 253). Trattasi tuttavia di un errore procedurale, inadatto - come già esposto - a fondare la censura di lesione dell'
art. 58 Cost. Lo stesso dicasi per il rimprovero mosso alla presidente - e da questa categoricamente smentito
BGE 116 Ia 14 S. 21
nella sua presa di posizione - al riguardo dell'audizione di due agenti di polizia (ai quali essa avrebbe chiesto di riferire su di alcune dichiarazioni fatte dall'accusato in sede di interrogatorio preliminare e non verbalizzate) nonché del successivo interrogatorio del ricorrente, di fronte alle di cui denegazioni la presidente avrebbe contrastato la presunta maggior credibilità degli agenti (atteggiamento non deducibile dalla sola lettura del verbale, dal quale risulta invece come la domanda volta nello stesso contesto dalla presidente all'imputato non sia retorica - come pretende il collegio di difesa - ma rappresenti un vero e proprio quesito).
d) Rilevata la scarsa importanza, ai fini dell'art. 58 Cost., dei supposti errori di procedura fatti valere dal ricorrente, si può lasciare aperta la questione di sapere se gli stessi si siano avverati prima o dopo l'inoltro dell'istanza di ricusa. Ovvio che, fatti accaduti dopo l'emissione dei giudizi del 17 ottobre 1989, impugnati in questa sede, rispettivamente dopo la successiva riapertura del processo, non potrebbero essere tenuti in considerazione.
6.
a) L'istante ravvisa un ulteriore dubbio di prevenzione nella battuta formulata dalla presidente sulle scarpe da lui calzate durante una seduta del procedimento in relazione alla sua altezza e a quella di uno degli attentatori del giudice italiano Tartaglione. Considera sorprendente il fatto che il presidente di un processo per il reato di assassinio possa permettersi di pronunciare delle "battute in tono scherzoso" sulla presenza (contestata dalla difesa) dell'imputato sul luogo del delitto.
b) Effettivamente, dal verbale della discussione svoltasi il 16 ottobre 1989 davanti alla Camera dei ricorsi penali e alla quale parteciparono anche i tre difensori dell'imputato, risulta che la battuta - secondo la Procura pubblica espressa per diminuire la tensione artificiosamente provocata in aula dalla difesa - è stata fatta in tono scherzoso. Tale natura è ammessa anche dalla presidente, la quale aggiunge comunque che, se avesse detto qualche scorrettezza, visto il comportamento assunto dalla difesa dell'imputato durante il processo, il difensore presente quella mattina in aula avrebbe sicuramente richiesto un'annotazione a verbale, ciò che invece non è avvenuto. Ora, anche se si volesse considerare l'asserto della presidente come uno sviamento umoristico della procedura, si deve rilevare che tali affermazioni non bastano, secondo la prassi, a fondare un dubbio di parzialità e nemmeno a configurare
BGE 116 Ia 14 S. 22
una lesione del principio della presunzione d'innocenza codificata dalla CEDU (cfr. consid. 4b/bb della sentenza inedita del 19 luglio 1989 nella causa Zwahlen).
7.
a) In sede cantonale il ricorrente ha fondato la domanda di ricusa principalmente sulla campagna di stampa - considerata a lui ostile - condotta dai mezzi d'informazione a partire dal momento del suo arresto e continuata, in spregio al principio della presunzione di innocenza, anche durante il processo. Davanti al Tribunale federale critica i giudizi cantonali che non hanno ammesso tale motivo di ricusa. A suo parere, la campagna di stampa definita senza precedenti per intensità, frequenza e pesantezza di contenuto - fattori intensificati dalla ristrettezza del territorio e dall'esiguità del numero degli abitanti del Cantone Ticino - avrebbe predisposto negativamente nei suoi confronti tanto l'opinione pubblica, quanto, di riflesso, i membri della corte giudicante, in modo particolare gli assessori giurati. Come prova dell'asserito influsso negativo cita alcuni episodi di intolleranza verificatisi nei confronti dei suoi familiari e dei suoi difensori. Già prima dell'inizio del processo egli sarebbe stato considerato a più riprese colpevole dei reati imputatigli e la sua qualità di membro dell'organizzazione terroristica "Brigate Rosse" sarebbe stata data per certa; perfino l'allora presidente del Consiglio di Stato del Cantone Ticino - ricorda in tal modo la connotazione politica della vicenda giudiziaria - ebbe a qualificarlo pubblicamente come "efferato terrorista". La televisione della Svizzera italiana, infine, avrebbe diffuso, a poca distanza dall'inizio del processo e, secondo l'imputato, a suo svantaggio, una trasmissione sul terrorismo.
b) Il Tribunale federale già ha avuto modo di stabilire come anche circostanze estranee al processo possano avere un influsso scorretto sul giudizio, sia in favore, sia a scapito di una parte (
DTF 105 Ia 162
consid. 6a). Nello stesso contesto, tuttavia, ha osservato che non tutti gli influssi a cui quotidianamente è sottoposto un giudice possono essere considerati idonei a fondare un dubbio di parzialità nei suoi confronti, impedendogli in tal modo di partecipare alla deliberazione del litigio (
DTF 105 Ia 163
consid. 6a). In effetti, se qualsiasi influenza esterna potesse portare alla ricusazione di un giudice, in periodi politicamente movimentati lo Stato non sarebbe più in grado di garantire al cittadino il regolare funzionamento delle istituzioni giudiziarie (cfr. quanto già esposto al consid. 4;
DTF 105 Ia 165
). Degli organi istituiti a salvaguardia della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, finora
BGE 116 Ia 14 S. 23
soltanto la Commissione è stata chiamata a esaminare il problema del possibile influsso di virulente campagne di stampa sull'imparzialità dei giudici e di conseguenza sull'equità del processo. Essa ha stabilito che sono i giudici popolari a correre il maggior rischio di subire l'influenza degli interventi dei mezzi d'informazione sfavorevoli a un imputato o a un accusato (cfr. FROWEIN/PEUKERT, Europäische Menschenrechtskonvention, EMRK-Kommentar, n. 114 all'art. 6; MIEHSLER/VOGLER, Internationaler Kommentar zur Europäischen Menschenrechtskonvention, n. 305 all'art. 6). La medesima opinione è condivisa dalla dottrina (cfr. EICHENBERGER, Die richterliche Unabhängigkeit als staatsrechtliches Problem, Berna 1960, pagg. 235 seg., 248 seg. e 251 seg.; TRECHSEL, Struktur und Funktion der Vermutung der Schuldlosigkeit, Ein Beitrag zur Auslegung von Art. 6 Ziff. 2 EMRK, SJZ 77 (1981), pag. 317 segg., in particolare pag. 322 seg.; ARZT, Der befangene Strafrichter, Tubinga 1969, pag. 113 seg.). Contestando l'opinione difesa dalla Corte suprema federale tedesca, ARZT giunge alla conclusione che una campagna di stampa mirante alla condanna (o alla condanna a una pena pesante) dell'imputato, con cui si tende a dimostrare la sua colpevolezza, reca con sé gravi pericoli per la ricerca della verità. Secondo l'autore potrebbe subentrare un clima tale, da rendere impossibile una ricerca imparziale della verità (op.cit., pag. 114). Pure per KÖLZ (in: Kommentar zur Bundesverfassung der Schweizerischen Eidgenossenschaft, n. 16 all'art. 58) tale peso dell'opinione pubblica deve, per principio, essere considerato idoneo a configurare una lesione del diritto a un giudice imparziale garantito dall'
art. 58 Cost. Tuttavia la Commissione non reputa che l'accesso ai mezzi d'informazione - pure nel corso del procedimento - possa di per sé essere sufficiente a fondare il dubbio di parzialità, ammissibile soltanto se suffragato da circostanze atte a dimostrare l'influsso della campagna pubblicitaria sull'opinione dei giudici. La Commissione, invece, consiglia, nell'ambito di processi molto chiacchierati, oggetto di vaste campagne di stampa, radiofoniche e televisive, di adottare d'ufficio delle misure positive, onde assicurare una ricerca imparziale della verità; provvedimenti, questi, necessari soprattutto nei casi in cui intervengono dei giudici popolari (cfr. MIEHSLER/VOGLER, op.cit., n. 305 all'art. 6 e richiami, in particolare nota 6 a pag. 100). La Commissione ha considerato inoltre come il rischio che una campagna di stampa violenta possa nuocere all'equità del processo sussista soprattutto ove la stessa sia stata cagionata o istigata da un
BGE 116 Ia 14 S. 24
organo statale statale (cfr. EuGRZ 1987, pag. 357 nel caso Bricmont c. Belgio; DR 22,187 e 14, 87 seg.). Inevitabile però, secondo la Commissione, che alcuni processi attirino più attenzione di altri. Essa ha ritenuto in tal caso che una campagna pubblicitaria è tantomeno inadatta a influire sull'equità del processo, dove le opinioni della stampa divergono (EuGRZ 1987, pag. 357 nel caso citato). Al riguardo di colui che è chiamato a dirigere il processo, la Commissione ritiene che esso può fondare il sospetto di parzialità non soltanto con i sui atteggiamenti, ma anche omettendo di intervenire di fronte a interferenze sprezzanti e pregiudicanti di altri partecipanti al dibattimento (MIEHSLER/VOGLER, op.cit., n. 406 all'art. 6). Il Tribunale federale, chiamato finora una sola volta a esprimersi sul problema, ha ritenuto che una campagna di stampa e interventi politici non sono da soli sufficienti a fondare il dubbio di parzialità di un giudice (consid. 4b della sentenza inedita del 18 dicembre 1985 nella causa Rychetsky c. Tribunale d'accusa del Canton Vaud, Jaquier e Pollicino; analogo il giudizio emesso l'8 luglio 1978 dalla Commissione di Strasburgo nella causa Ensslin, Baader e Raspe c. Repubblica Federale di Germania, in DR 14,88 n. 15). D'altro canto non bisogna dimenticare che, in qualità di normali cittadini, i giudici hanno il compito di tenersi al corrente dei problemi che interessano la società e altresì - nella misura in cui la loro attività lo permette - quello di formarsi un'opinione politica: basta soltanto che la loro imparzialità non sia compromessa (cfr.
DTF 105 Ia 162 consid. 6a; KÖLZ, op.cit., n. 18 all'art. 58, come pure, nello stesso volume, J. P. MÜLLER, n. 91 all'art. 55).
c) Dalle considerazioni esposte discende che l'accesso ai mezzi d'informazione non basta per influenzare i membri di un tribunale e mettere in dubbio la loro indipendenza e la loro obiettività. Nel caso all'esame non vi è pertanto nulla da obiettare sul fatto che i quotidiani siano stati a disposizione dei membri della corte durante le pause dei dibattimenti; mancano al riguardo segnali oggettivi atti a destare il dubbio che la presidente, i giudici togati e i giurati possano essere stati influenzati dai commenti apparsi sulla stampa nel periodo dal 9 al 13 ottobre 1989. Vero è che, prima dell'inizio del processo, la campagna informativa è stata molto intensa. Tuttavia essa non ha mai confinato con l'unilateralità: vi sono sempre stati innocentisti e colpevolisti. Sorprendente è pure il fatto che diversi giornalisti hanno posto l'accento sul potere dei mezzi d'informazione e sul pericolo di giudizi anticipati.
BGE 116 Ia 14 S. 25
Da non dimenticare, inoltre, che il notevole interesse suscitato dal "caso Baragiola" è da ricondurre soprattutto alla connotazione politica della faccenda. A destare scalpore è stato in modo particolare il fatto che le autorità amministrative abbiano concesso la cittadinanza svizzera e il cambiamento di nome a una persona condannata in via definitiva dalla giustizia italiana per diversi reati come membro delle "Brigate Rosse". L'interesse maggiore è stato suscitato dalle condizioni in cui si è scoperto che colui a cui si era da poco concesso la nazionalità elvetica era ricercato dalla polizia. Da escludere pertanto che nella fattispecie i servizi diffusi dai mezzi d'informazione fossero sistematicamente volti all'ottenimento della colpevolezza dell'imputato.
Il ricorrente non pretende neppure che la campagna di stampa sia stata causata esclusivamente da un organo statale. In quest'ambito egli si limita a citare l'intervento dell'allora presidente del Consiglio di Stato in un dibattito parlamentare (diffuso dalla radio e dalla televisione) riguardante la questione politica della vicenda. Nella sua critica, tuttavia, il ricorrente dimentica che le allusioni fatte dal presidente dell'esecutivo cantonale non si riferivano al futuro processo penale di Lugano, bensì alle condanne definitive dei tribunali italiani (cfr. J. P. MÜLLER/S. MÜLLER, Grundrechte, Besonderer Teil, pag. 264 all'inizio e n. 8). D'altronde, un esame generale del decorso degli avvenimenti evidenzia come non sia stata quest'affermazione a dare l'avvio alla campagna di stampa criticata dal ricorrente. Inoltre, costui neppure tenta di addurre che tale avvio potrebbe essere stato causato da informazioni sfuggite ad altri organi statali, quali l'autorità inquirente o la pubblica accusa. Al contrario invece, il 20 giugno 1988 la Procura pubblica sottocenerina aveva emanato - unitamente al collegio di difesa dell'imputato - un comunicato stampa con cui invitava gli organi d'informazione a collaborare alla salvaguardia delle esigenze di sicurezza e di giustizia, in particolar modo al rispetto dei diritti dell'imputato, incluso il principio della presunzione d'innocenza, auspicando uno svolgimento tranquillo della procedura giudiziaria.
Nelle loro osservazioni al Tribunale federale, i giudici e i giurati sottolineano non solo l'impossibilità ammessa dal ricorrente di provare l'influsso negativo dei mezzi d'informazione sulla convinzione di ognuno di loro, ma pure come la campagna informativa non abbia effettivamente per nulla influenzato la loro indipendenza di giudizio. Analoghe le conclusioni della presidente, la quale asserisce pure di essere stata,
BGE 116 Ia 14 S. 26
durante i dibattimenti e le brevi pause, troppo occupata per notare la presenza dei giornali nel vano adiacente all'aula penale; verosimilmente ammette di aver letto i quotidiani una sola volta, cioè il 13 ottobre 1989, dopo aver preso conoscenza dell'istanza di ricusa che menzionava la circostanza. Se non altro, queste prese di posizione costituiscono un indizio secondo cui i magistrati e i giurati non si sentivano influenzati dalla campagna di stampa. Ora, anche se, come l'esperienza insegna, il pericolo di indebite interferenze da parte dei mezzi d'informazione non sussiste tanto per i giudici togati, quanto per quelli popolari (cfr. FROWEIN/PEUKERT, op.cit., n. 114 all'art. 6; VOGLER, op.cit., n. 305 all'art. 6), non si può sottovalutare l'importanza del giuramento e della promessa solenne deferiti dalla presidente agli assessori giurati subito dopo la costituzione della corte d'assise (
art. 182 CPP in combinazione con l'art. 150 cpv. 2 lett. c della legge cantonale sull'esercizio del diritto di voto, sulle votazioni e sulle elezioni del 23 febbraio 1954). Proprio in casi come quello all'esame, dove c'era già stato un intervento della stampa a proposito della questione politica della faccenda e, appunto per questo motivo, esisteva un accresciuto pericolo di prevenzione degli assessori, l'atto del giuramento e della promessa solenne acquista maggior significato, cessando di essere formula di stile. Il fatto di richiamare l'attenzione dei giudici popolari sul testo del giuramento e della promessa solenne assume quindi, per esperienza, un'importanza rilevante nei casi che hanno suscitato particolare interesse già prima dell'apertura del procedimento penale. Il peso attribuibile a quest'atto solenne attenua la necessità di rendere esplicitamente attenti gli assessori giurati del pericolo che potrebbero costituire per la formazione del loro convincimento i servizi diffusi dai mezzi d'informazione. Certo, la presidente avrebbe potuto rendere attenti i giudici popolari su questo punto; il non averlo fatto non pregiudica tuttavia l'imparzialità del tribunale. Si ricordi che la discussione da cui scaturisce il giudizio di una corte d'assise ticinese è tenuta dai giudici popolari e da quelli togati (
art. 206 cpv. 1 e art. 208 CPP; cfr. pure art. 53 della legge organica giudiziaria del 24 novembre 1910) e non, come avviene in un classico tribunale d'assise, soltanto da giurati (cfr. su tal punto le diverse conseguenze del possibile influsso dei mezzi d'informazione sui giudici popolari nel diritto anglosassone e nel diritto tedesco esposte da BORNKAMM, Pressefreiheit und Fairness des Strafverfahrens, Die Grenzen der
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Berichterstattung über schwebende Strafverfahren im englischen, amerikanischen und deutschen Recht, Baden-Baden 1980, pagg. da 207 a 212).
Nella fattispecie all'esame nemmeno si sarebbe potuto esigere dalla presidente un ulteriore ammonimento alla stampa, dopo che, com'è già stato evidenziato, la Procura pubblica sottocenerina e il collegio di difesa dell'imputato avevano emanato un comunicato in tal senso. Pur prescindendo dal fatto che commenti pubblicati durante il corso di un processo e destinati a mettere in dubbio l'imparzialità di un tribunale sono inammissibili (J. P. MÜLLER, in: Kommentar zur Bundesverfassung der Schweizerischen Eidgenossenschaft, n. 93 all'art. 55), nella valutazione degli interessi opposti la presidente non poteva certo omettere di considerare che il divieto di censura preventiva del testo di un articolo costituisce il fulcro della libertà di stampa (idem, n. 26).
d) Alla luce delle considerazioni esposte i gravami devono essere respinti, nel caso concreto la censura di parzialità risultando priva di consistenza, anche al riguardo del ruolo svolto dai mezzi d'informazione. Ciò non evita tuttavia di rilevare a titolo generale, proprio in tal contesto, come, al fine di evitare possibili limitazioni alla libertà di stampa, in futuro i giornalisti dovranno non solo essere più disciplinati e autocritici, ma anche attenersi con maggior rigore alle norme deontologiche della loro professione, dando prova di prudenza e oggettività (cfr. ESER/MEYER, Öffentliche Vorverurteilung und faires Strafverfahren, Friburgo in Brisgovia 1986, pagg. 228 seg. e 242 per la Svizzera, nonché pagg. 194 seg. e 204 segg. per la Svezia; J. P. MÜLLER, Kommentar, n. 91 seg. all'art. 55). Pertanto si invitano i giornali, la radio e la televisione a rispettare in ogni caso, ma soprattutto in occasione di processi penali, la presunzione d'innocenza anche prima dell'inizio dei dibattimenti. La libertà di stampa non dovrebbe infatti mai provocare la condanna di un imputato da parte degli organi d'informazione prima che il competente tribunale renda noto il suo giudizio (cfr. BISCHOFBERGER, Die Verfahrensgarantien der Europäischen Konvention zum Schutze der Menschenrechte und Grundfreiheiten (Art. 5 und 6) in ihrer Einwirkung auf das schweizerische Strafprozessrecht, tesi Zurigo 1972, pag. 127 n. 466).